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Dopo qualche ora di silenzio in segno di rispetto nei confronti di Antonella, una bimba siciliana vittima di un gioco mortale sul social Tik Tok (ne parla il Corsera qui), ho deciso di scrivere una riflessione sui pericoli della rete e delle sue “cause”.

Sì perché mentre l’opinione pubblica nazionale come accade spesso preferisce dividersi in fazioni, puntando il dito contro il brutto e cattivo Tik Tok, giudicato “social pericoloso”, oppure contro i genitori, bollati come “incapaci di educare”, la mia riflessione vuole rifarsi immancabilmente a quella che è anche la mia “visione olistica” nella vita e nel lavoro.

Già perché non credo affatto che il caso di Antonella sia colpa di qualcosa o qualcuno in particolare.

D’altronde, e questo caso di cronaca non fa eccezione, il verdetto non può essere unanime: è palese che esista un “generalizzato concorso di colpa” a cui, pur di schiaffare titoloni in prima pagina, le masse non danno purtroppo credito appoggiando la versione sgangherata di chi per audience o per clic sbatte il mostro in prima pagina.

Ed invece no.

La responsabilità di ciò che è successo, e che si ripete in forme anche più leggere ma in ogni caso dannose ovunque partendo dal world wide web ma con un impatto sulla vita fisica, non può essere in alcun modo affibbiata ad un unico “attore” ma distribuita, anche se in percentuali diverse, tra tutti noi, nessuno escluso.

Chi sono quindi i colpevoli della morte di questa povera bambina? Anzi, di chi è la colpa di tutte le giovani vittime (anche in senso lato e non solo estremo) passate e, purtroppo probabilmente, future di questo indecifrabile “male dei social”?

Ne ho identificato quattro. Eccoli…

Primo colpevole: la scuola

In Italia i numeri legati alla “digitalizzazione” sono impietosi, con ancora il 23,9% delle famiglie senza accesso ad internet, statistica che denota quanto tra le famiglie resti un forte divario digitale da ricondurre soprattutto a fattori generazionali e culturali (fonte Istat).

Viviamo quindi una realtà in cui il sistema scolastico non riesce a stare assolutamente al passo con la tecnologia che, al contrario, progredisce ad una velocità spaventosa.

Se spulciamo i programmi didattici nazionali ci accorgiamo, tra l’altro, che lo studio dell’educazione civica nelle scuole continua a concentrare le sue lezioni sull’offline (in particolare sul rigido studio delle leggi italiane ed europee) trascurando che da qualche anno a questa parte (in particolare da circa un anno causa Covid-19) la realtà con le sue regole civili è mutata fortemente in un “ibrido tra offline e online”, il cosiddetto “onlife” citato dal filosofo Luciano Floridi.

Ma a mio modesto parere non si tratta solo di deficit dell’educazione digitale, nonostante un insufficiente tentativo di ammodernamento (legge 92/2019 dal 1 settembre 2020). Come detto i carnefici di questa situazione sono anche altri.

Secondo colpevole: i media

Pompare l’educazione digitale scolastica influenzerebbe in modo positivo il mindset ed il comportamento delle fasce di popolazione più esposte ai pericoli della rete, specie gli adolescenti che, come ricordano gli psichiatri, sono i più soggetti alla formazione dell’identità personale e dell’autostima.

Tuttavia questo non sarebbe sufficiente a risolvere il problema.

Ricordiamoci infatti che i bambini ed i ragazzi non vengono cresciuti dagli insegnanti ma dai loro genitori, da cui vengono in maggior parte influenzati. E visto che questi ultimi hanno spesso una cultura digitale peggiore dei figli, ecco che scatta la domanda retorica:

Come possono effettuare un’efficace attività di prevenzione e controllo online sugli stessi?

Urge insomma la necessità di fare cultura digitale anche ai genitori.

Chi? Dove? Quando? Come?

Non credo che la scuola possa fare molto in questo caso ma che piuttosto debba essere il sistema mediatico (tv, radio e lo stesso web) ad accollarsi questa enorme responsabilità. Inclusa la colpa di non essere riuscito finora nell’intento di limitare o annullare i pericoli del social.

Aspetta, chi sono i media?

Se la parola media ti porta alla mente Bruno Vespa, Enrico Mentana o ad altri giornalisti famosi sappi che sbagli di grosso.

Sappi che la responsabilità dei media è ormai assolutamente condivisa tra i grandi broadcaster online e offline e noi tutti: il grande popolo della rete e dei social.

Insomma direi di smetterla una volta per tutte di crederci vittime della comunicazione drogata alimentata dallo show business su tv, radio e web. Grazie ai nostri post, reazioni, condivisioni e commenti sui social anche noi siamo carnefici, e dovremmo come tali redimerci tutti imparando a comunicare in modo etico.

In risposta al chi, dove, come quando: sui social, da oggi stesso, imparando da chi ne sa più di noi, smettendola di farfugliare fingendoci esperti in campi che non conosciamo.

Ma attenzione, perché la lista dei colpevoli non finisce qui…

Terzo colpevole: i genitori

Dopo aver letto il mio “commento a caldo” sui social circa la triste vicenda di Antonella, un amico mi ha chiesto se potevo indicargli un modo per bloccare “simili diavolerie” (il riferimento è chiaramente a Tik Tok) dagli smartphone di suo nipote. La mia risposta, da bravo e vecchio smanettone, è stata solo apparentemente risolutoria:

“Basta usare le app di parental control, sono molto semplici da usare e tra l’altro spesso sono già incluse in modo nativo nel dispositivo o nel social”.

Poi però ho precisato una cosa importante, magari apparentemente banale, che però non lo è in quanto riporta alla triste realtà:

Se il genitore mette nelle mani del figlio uno smartphone senza curarsi di registrarlo come minorenne (in pratica mentendo sulla sua data di nascita, facendo in modo che il parental control purtroppo non si attivi) o peggio cede un dispositivo o un account social registrato a se stesso (adulto), il bambino si ritroverà in mano un “dispositivo pericoloso” e sarà esposto ai pericoli della rete, specialmente se lasciato solo!

Ecco perché anche se fare in modo che i genitori imparino ad usare il parental control è una buona cosa, ciò non è sufficiente a scongiurare il pericolo.

Capiamoci.

Il punto fondamentale da capire è che i genitori, prima ancora di acquisire competenza digitale, dovrebbero acquisire consapevolezza, maturità, capacità di comportarsi da persone adulte.

Purtroppo la storia moderna ci dice che i quarantenni di oggi non è che siano proprio adultissimi, eh? I papà e mamma di oggi fanno infatti parte in maggioranza della generazione X, i nati dal 1965 al 1980, e quella dei millennials, i nati cioè dal 1980 e il 2000. Tendenzialmente parliamo cioè delle due generazione che hanno subito maggiormente la crisi economica del 2008, e quindi sempre “tendenzialmente” (è come il prezzemolo questo avverbio, si nota che mi piace?) precari e bamboccioni.

Da questo punto di vista no, non è colpa loro…

Inoltre un altro grosso problema, un po’ paradossale, si verifica quando il genitore è tecnologicamente preparato ma si sente troppo sicuro, rischiando così di non avvertire i pericoli per sé e, di conseguenza, trascurandoli per il proprio figlio.

Questo pericolo posso testimoniarlo personalmente in quanto persona dall’ottima cultura digitale (smanetto sui bit da quando avevo 7 anni, nel momento in cui scrivo questo articolo vado per i 46, sic!) e papà di Lorenzo, un bimbo molto sveglio dell’età di 5 anni.

Lo so che qualcuno forse storcerà il naso, ma la mia esperienza con lui digitalmente parlando è all’insegna della libertà e responsabilità: infatti ha già il suo smartphone (ovviamente senza SIM), il suo Amazon Firestick collegato alla sua piccola TV, il tuo tablet e persino il suo notebook. Praticamente Lorenzo è un piccolo me! 😛

Eppure mi rendo conto, sebbene gli spieghi sempre tutto (anche dal punto di vista tecnico) e lo metta sempre in guardia rispetto ai pericoli della rete (dicendogli quello che deve e non deve fare e perché), che è ancora troppo piccolo per distinguere il bene dal male.

Questa presa di coscienza mi ha fatto capire (attenzione: è una cosa che ho imparato con l’esperienza e non perché qualcuno me lo ha insegnato) che è assolutamente fondamentale assicurarsi che abbia SEMPRE il parental control attivato.

No, non lo scrivo per vantarmi come genitore ma come “monito” per ricordarti (e soprattutto ricordami) che essere bravi genitori non ha nulla a che fare con essere bravi smanettoni tecnologici ma con altre doti legate alla responsabilità e all’auto-analisi, alla capacità soprattutto di capire che il proprio punto di vista di genitore non può essere quello di un bambino. Lo so che può sembrare ovvio, ma all’atto pratico non è così automatico.

Ma aspetta. Ti pare che l’elenco dei colpevoli del male dei social finisce qui? Neanche per sogno…

Quarto colpevole: i social

Le aziende che controllando i nostri dati gestiscono piattaforme enormemente popolate come Facebook, Instagram e lo stesso Tik Tok non possono essere escluse assolutamente da questo “accusatio manifesta”.

Ma come? Non solo solo “strumenti” in mano delle persone? Che colpa possono mai avere?

Partirei intanto dal “ruolo decisionale” dei social, argomento caldissimo vista la recente presa di posizione di molti di questi nei confronti dell’ex presidente degli USA Donald Trump, bollato giustamente come “pericoloso” e quindi bannato dopo aver istigato violenza durante i fatti del 6 gennaio 2021.

Forse ti chiederai cosa c’entri questa storia, e invece c’entra eccome:

Finora i social, trincerandosi dietro alla legge che li ha sempre esclusi dall’essere considerati editori (l’ormai famosa section 230), si sono lavati le mani sull’uso delle loro piattaforme da parte dei “creators”. In sostanza tendenzialmente (a ridaglie coll’avverbio!) li hanno lasciati “fare” in nome della libertà d’espressione, salvo l’improvviso dietro-front sul caso Trump appena la situazione è degenerata.

Ecco perché ho citato questa storia, perché ci si aspetterebbe da ora in poi che i social, quanto meno i più popolari, continuino su questa strada, bannando chi viola i TOS anche su altri fronti sui quali da questo punto di vista hanno finora spesso latitato.

Mi riferisco al fronte delle fake news, del cyber-bullismo, del revenge porn, della pedopornografia, ecc.

Cosa voglio dire?

Semplice: che l’idiota che su Tik Tok ha creato ed alimentato quella “challenge” non ci doveva proprio stare. Altro che tutela della “libertà di espressione” di fronte a certo schifo!

Concludendo

È sempre più evidente che, diversamente da ciò che ci hanno sempre detto, i social non sono più semplici strumenti ma, per la capacità che hanno di impattare sulle azioni della gente (soprattutto le più influenzabili) sono molto, molto di più di strumenti!

In particolare i contenuti degli utenti, su cui i social basano il loro business (ed anche per questo motivo ne sono responsabili), hanno la capacità di influenzare enormemente le azioni altrui, sia che si tratti dei fanatici di Trump che di innocenti ragazzini.

Ecco perché, in tutta questa storia, di cui ripeto l’evento mortale di Antonella è solo un episodio di una lunga striscia nera, la colpa è anche dei social: perché ormai è chiaro a tutti che sia loro responsabilità agire tecnologicamente e strategicamente per prevenire il male dei social.

La cui colpa non appartiene ad uno solo ma proprio a tutti.

Ed è per questo che non ha alcun senso, oltre che è inutile, censurare o autocensurarci dall’uso dei social, così come non serve puntare il dito solo sui politici colpevoli di non fare abbastanza per la scuola, o contro i media, boicottando i giornalisti o accusando i poveri genitori di una vittima del web. Occorre prendere solo atto che siamo tutti colpevoli, vittime e responsabili di una realtà complessa, ma che questa è l’unica strada da percorrere.

La chiave per uscirne è sempre lei, la consapevolezza di tutte le complesse dinamiche in gioco nell’onlife.

Partendo dall’ammissione che è colpa di tutti, nessuno escluso.


Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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