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Se segui il mio profilo Facebook ed Instagram saprai che in questo periodo mi trovo a Milano, città dove si concentra (ed è uno dei motivi per cui sono qui) la maggior parte delle digital agency in Italia.
Secondo l’Istat sono infatti più di 7000 le attività che offrono servizi in questo comparto (contro le quasi 5000 di Roma) vantando la marginalità più alta (di circa 150 mila euro) tra quelli che fatturano di più.
Il detto “Milan l’è un gran Milan” sembra quindi valere anche per la consulenza di branding (ambito in cui opero da anni, soprattutto come personal brander) che, numeri alla mano, affianca quello nel design tra i comparti più operativi, remunerativi e strategici per la nostra economia.
Quella di Milano è una reputazione che negli ultimi decenni ha portato moltissimi a trasferirsi in questa grande e dinamica città per un posto di lavoro possibilmente ben pagato in una grande agenzia.
Lavorare a Milano nel digital
In effetti oggi, stando a quanto riferiscono le principali società di recruting e lo stesso Linkedin, le posizioni aperte nel digital sono numerose (anche se spesso colmate da candidature inadeguate, ma di questo magari ne parlerò in un altro articolo…).
Le agenzie, dopo il boom dello smartworking dei mesi più caldi del Covid, sembrano essere tornate a chiedere il lavoro in presenza (se non completamente in parte) spingendo di fatto molti ad abbandonare la provincia per trasferirsi nella “piccola mela”.
Di smartworking ne ho parlato anche in questo articolo scritto proprio nel periodo di rilancio di questo approccio al lavoro, puoi leggerlo qui.
Insieme alla riaffermazione del lavoro in sede, con conseguente affollamento di Milano ed aumento generale di residenti (quindi del costo degli affitti e della vita) continua però anche il fenomeno “opposto” del southworking supportato da quelle imprese (anche milanesi) che probabilmente, approfittando di un costo del lavoro inferiore, spingono molti operatori del digital a rimanere o a trasferirsi in aree periferiche, specie nel meridione, per lavorare a distanza.
Anche di southworking avevo parlato tempo fa sul mio blog in un altro articolo che trovi qui.
Lavorare a Milano e nel… metaverso
A questi due “fenomeni in corso” se ne aggiunge a mio parere un terzo: il fenomeno del “metaverso”.
Di metaverso ultimamente si fa un gran parlare grazie ai propositi espansionistici di Meta (l’azienda guidata da Mark Zuckerberg che controlla Facebook, Instagram e Whatsapp). Di fatto metaverso è soprattutto una buzzword sfruttata a dovere anche da tanti “progetti fuffa” (a proposito: occhio!).
Ad ogni modo alcuni l’osannano come “una grande novità”, altri lo criticano definendolo un grande bluff.
Io credo si debba preferire sempre un’analisi più realistica e non polarizzata delle cose, quindi anche del metaverso. Ed io credo che secondo questo punto di vista il metaverso non sarà, almeno nei prossimi anni, un “vero mondo alternativo immersivo” come qualcuno vorrebbe già intenderlo ma semplicemente una forma di “realtà aumentata” più avanzata di quanto lo è attualmente.
Insomma un mix tra reale e virtuale che coesisteranno sempre più insieme.
Ho coniato il termine “Milanoverso”
Di che si tratta? A mio parere il Milanoverso, fusione di Milano (inteso come luogo fisico di lavoro) e metaverso (come appunto mix tra fisico e virtuale) sarà, anzi è già, un mix tra reale e virtuale generato dalle tecnologie del metaverso, in primis visori di AR (anche VR in realtà, ma almeno all’inizio poco in ambito business bensì in ambito gaming), dove le maggiori aziende ed esperti di marketing e comunicazione in Italia lavoreranno insieme e sempre meglio.
E che potrà essere sfruttato a dovere anche da chi, dalla campagna o dal mare di una regione del Sud, farà southworking.
Che ne pensi?
Cosa pensi di Milano come luogo di lavoro in ambito digital (e no)? Pensi che continuerà a ricevere frotte di lavoratori come oggi o che questo fenomeno prima o poi si fermerà/invertirà per via della parallela affermazione di fenomeni quali smartworking, southworking e… metaverso?