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Molto di recente facendo zapping in TV mi è capitato di vedere qualche istante del nuovo programma di Bruno Vespa “Cinque Minuti”, in onda tutti i giorni subito dopo il TG1 delle 20.
Durante la visione della sigla mi è apparso in full screen il bizzarro logo del programma. E, sarà ché sono curioso come una scimmia, sarà ché da brand builder di loghi negli anni ne ho creati parecchi, mi ha colpito molto.
Il motivo si evince dal post che ho pubblicato nelle ore successive. Eccolo:
Puoi leggere la versione Linkedin del post qui.
In buona sostanza ho pensato/percepito che quella “Q”, complice sia la forma che il colore, fosse parecchio “ambigua” e, peggio ancora, che somigliasse tanto ad un… catetere. O meglio, ad una flebo contenente un non precisato liquido di colore giallo.
O, ancora, una di quelle sacche ospedaliere per la… pipì!
Ecco, non so te, magari avrai una percezione diversa (se è così la rispetto, d’altronde si tratta di un punto di vista), ma io la prima volta che mi è apparso ho avuto proprio questa percezione.
Ma visto che una cosa è la percezione personale della comunicazione, un’altra cosa è ciò che si vuole comunicare (l’intenzione), ho voluto chiedere, prima un po’ per gioco ma poi seriamente, alle mie community Facebook, Instagram e Linkedin cosa ne pensassero. Cosa riportasse alla mente quella “forma”, proprio per cercare di capire tutti insieme se ci fosse un clamoroso errore da cui trarre conclusioni markettose.
Com’è andata
Ebbene, alla mia richiesta ho ottenuto una marea di “percezioni” molte delle quali coincidevano effettivamente con la mia. A molti quel pittogramma ricordava effettivamente un oggetto sanitario.
Tuttavia queste percezioni, ovvero le risposte ricevute alla mia domanda “cos’è per voi quella Q?”, sono state tutte molto diverse tra loro.
Eccole:
- Un microfono.
- Un termometro.
- Una graffetta per sim.
- Una clessidra.
- Un assorbente.
- Un biberon.
- Un ghiacciolo al limone.
- Una lente d’ingrandimento.
- Un preservativo rovesciato.
- Una bottiglia di birra rovesciata.
- Un catetere / una sacca di urina / una flebo.
In pratica ho ricevuto così tante risposte diverse che avrei potuto fare un’indagine statistica (sarebbe stato divertente ed interessante ma non mi è sembrato il caso).
Ad ogni modo da questa “stramba storia” mi sono portato a casa, e voglio condividerle con te, due riflessioni contestuali alla vicenda che, ed è questo che secondo me conta davvero, credo insegnino qualcosa.
Prima riflessione
La prima è che il fatto che questo pittogramma sia stato interpretato in modo così diverso da persona a persona dimostra che il logo del programma “Cinque Minuti” ha qualcosa che non va, che andrebbe corretto, che forse è addirittura sbagliato.
Parlando in generale, infatti, in un logo il pittogramma non dovrebbe MAI essere frainteso, al contrario dovrebbe “raccontare” il messaggio del brand (cosa fa, come lo fa e, meglio ancora, perché lo fa) nel modo più chiaro e forte possibile.
Citando l’esempio riportato nel mio social post, il logo di “Porta a porta”, il programma storico di Vespa, contiene come pittogramma una coppia di porte. Le stesse usate dagli ospiti per accedere al suo show quando vengono chiamati. Sono porte e non c’è alcun dubbio che lo siano.
Nel caso del logo di “Cinque minuti” invece la “Q” a forma di pittogramma non ha questa chiarezza. Non si capisce affatto, a meno di interpretazioni, cosa sia, cosa rappresenti.
Un problema che si estende, logicamente, a qualsiasi logo che dovesse contenere un pittogramma che, nella sua stilizzazione/semplificazione (è sempre buona prassi semplificare il design del logo per renderlo meno “impegnativo” da osservare, riconoscere e memorizzare), potesse essere percepito in modo troppo diverso da persona a persona.
Nota: se dico “troppo diverso” intendo che non c’è mai modo di escludere categoricamente la possibilità che esistano “punti di vista” diversi. Per dire il famoso pittogramma “stilizzato” della Nike ricorda un sorriso ma non è da escludere che ci si possa vedere anche una falce. Quindi un’ambiguità ci può essere e può essere tollerata, ma l’importante è (ed i loghi fatti bene ci riescono) “ridurre al minimo” questa ambiguità, ovvero la possibile perdita di informazioni del messaggio (in gergo “residuo comunicativo”).
D’altronde, e qui nasce una riflessione dentro una riflessione, il branding non è l’arte.
Il branding si fonda sulle leggi scritte e non scritte della buona comunicazione. Ed una di queste dice una cosa non sempre compresa, anzi spesso bistrattata, ma fondamentale:
In pratica un logo può avere anche un’ambiguità (anche se è preferibile di no), ma a condizione che rimanga sotto una “soglia limite”, che non porti il pubblico a fraintenderne il posizionamento.
Seconda riflessione
La seconda riflessione mi viene dopo aver osservato che tra le percezioni più gettonate c’era proprio quel “anche a me sembra un oggetto sanitario”.
Tra l’altro questa percezione trova conferma dai fatti emersi successivamente, quando mentre interagivo con la mia community mi è stata mostrata un’immagine ed un video (che per motivi di copyright non posso pubblicare sul mio blog) da cui si osserva che durante il programma il logo oggetto della mia critica risulta “animato”, mostrando davvero un contenitore per liquidi che cambia di “livello”.
Una sorta di clessidra, in pratica, che però ricorda effettivamente un oggetto ad uso “sanitario”.
Certamente l’obiettivo dell’autore del logo era di realizzare un timer che conteggiasse i 5 minuti di intervista. Il problema è che la percezione di molti, visto anche il colore giallognolo del pittogramma, è tutt’altra.
Ed è abbastanza pazzesco sinceramente che, a questi livelli (tv nazionale vista da milioni di persone), possa essere stato fatto un simile errore.
Questo aspetto richiama ancora una volta le già citate leggi di buona comunicazione che imporrebbero, prima di diffondere un qualsiasi messaggio (in tal caso un logo, tra gli elementi più importanti per fare branding), di indagare circa il modo in cui verrà realmente percepito.
Sarebbe bastata un’indagine interna alla RAI, che sospetto non sia stata fatta, per accorgersene e correre ai ripari. Anche in modo informale e poco costoso.
Riassumendo
Questa storia secondo me insegna o ricorda a tutti noi che un messaggio sbagliato nasce spesso dal “mancato ascolto” del pubblico.
Il mancato ascolto in previsione di un lancio (in questo caso di un nuovo logo) è un errore diffuso che andrebbe sempre evitato perché non solo può rendere inutile la comunicazione ma addirittura creare un danno ad altri o addirittura a noi stessi, creare un piccolo grande “problema reputazionale”.
Perché non so per te ma per me un logo che a molti ricorda un contenitore per le urine (a meno che non si tratti del logo di un product-brand di questo tipo) non è mai edificante, anzi decisamente danneggiante.
Soprattutto se il problema riguarda, come in questo caso, uno stimato professionista della TV, di cui tra l’altro della vicenda non ha responsabilità dirette, come il dottor Vespa.