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DISCLAIMER: spero con questo articolo di non rovinarti la pausa pranzo, qualora sia questo il momento. In caso, chiedo venia.
Oggi ho visto un meme markettaro che faceva notare una cosa simpatica e allo stesso tempo interessante, ovvero come una sedia potesse essere venduta ad un prezzo maggiore chiamandola semplicemente “seduta”, cosa che mi ha fatto riflettere ancor una volta sul “potere delle parole” di cambiare la percezione delle cose.
Il post era scherzoso ma neanche tanto. In effetti era realistico perché la comunicazione funziona proprio così.
Quando un sinonimo cambia la percezione
L’uso che si fa delle parole per descrivere la realtà può cambiarne davvero tanto la percezione, ed è per questo che dovremmo imparare a “dosarle” con cura per descriverla al meglio. Secondo etica aggiungo io: perché, ad esempio, una sedia di plastica economica made in China non andrebbe chiamata “seduta” al contrario magari di una poltroncina in legno di quercia imbottita con stoffe pregiate e realizzata da un bravo ebanista.
Incuriosito da quel meme ho pensato d’alzare la “posta in palio” provando ad estremizzare la questione per provare a rinforzare questo mio messaggio etico.
In sostanza mi sono detto: “e se si provasse ad usare un sinonimo poco conosciuto, che magari suoni persino elegante o raffinato, per descrivere qualcosa che raffinato non è?”.
Allora mi sono andato a cercare – pazzoide come sono – i sinonimi della parola che puoi leggere nello screenshot qui allegato, visibile nella versione social di questo articolo.
La versione Linkedin di questo post è a questo indirizzo
Sì, hai capito bene, ho provato a cercare un sinonimo proprio di “pupù”, trovando come sostituto dall’appeal decisamente più suadente il termine “deiezione”. Imparando così che, dovessi mai andare in incandescenze davanti ad un “reale”, potrò esclamare l’assai più delicata e nobile espressione “deiezione!” senza rischiare troppo di sembrare un cafone.
Solo che scorrendo i vari altri sinonimi di quella parolina ho trovato una parola che negli ultimi anni è sulla bocca di tutti visto che è la ragione sociale dell’azienda che controlla le 3 app dell’Ave Maria (nel senso che occorre sempre pregare che funzionino a dovere): Facebook, Instagram e Whatsapp.
Sto parlando di Meta
Ora, visto che i marketer “quelli bravi” c’hanno sempre detto di evitare l’adozione per brand globali di nomi rischiosi dal punto di vista linguistico (riferendosi almeno alle lingue dei mercati principali dove operano), mi sono chiesto se al posto di “meta” (che rievoca il “metaverso”, e già di suo sa tanto di deiezione informatica ma eviterò di spiegare perché ma puoi sempre farti una cultura qui) non sarebbe stato meglio altro nome e se chi lo ha scelto sapesse di quel simpatico sinonimo italico.
Sì, ammetto di essere stato fin troppo pignolo e pure un po’ di parte nel raccontarti questa vicenda: d’altronde vedo di buon occhio più Linkedin che l’urlatoio Zuckworld.
Ma lo spunto di riflessione che cerco di sottoporti con questo articolo credo sia comunque nobile: perché la “percezione delle parole”, ovvero il loro messaggio potenzialmente molto diverso persino nel caso di uso di “sinonimi”, non è mai un tema banale. E soprattutto non è mai un tema di M.
PS: se Meta, dove o postato questo articolo, non mi caccia non mi caccia più.
PPS: se ti va di parlarne, che da quanto ho visto dalle prime reaction e commenti nella versione social è sembrato essere in grado di rubare sia un sorriso che una riflessione, puoi farlo qui. Dai che oltre a due risate forse riusciamo anche ad aumentare insieme ancor di più una cosa a cui tengo moltissimo: la consapevolezza (e responsabilità che ne deriva) dell’enorme “potere delle parole”.