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A distanza di diverse ore sento ancora un po’ di adrenalina per la finale della Coppa del Mondo di Calcio tra Argentina e Francia di domenica pomeriggio.
Una partita emozionante, forse addirittura “leggendaria”, forse la più bella ed importante mai giocata in questo sport, finita con la vittoria e conquista del titolo da parte dei sudamericani.
Una sfida che però, a leggere i “titoli dei giornali” delle ultime ore, viene presentata come sfida tra individui piuttosto che sfida tra squadre.
Il protagonista comune di questa sfida è Lionel Messi, il numero 10 argentino paragonato da sempre al “pibe de oro” Diego Armando Maradona, anche detta “La mano de Dios” per lo storico gol di mano convalidato durante la sfida contro gli odiati inglesi e vincitore “protagonista assoluto” del mondiale messicano del 1986.
E poi al giovane attaccante francese Kylian Mbappé, nonostante arrivato secondo con la sua Francia realizzatore di una tripletta che gli ha fatto vincere la classifica marcatori del mondiale.
Senza trascurare il paragone con l’altro fenomeno Cristiano Ronaldo eliminato anzitempo col suo Portogallo.
Da quando la partita si è conclusa insomma i giornali parlano, oltre che dell’Argentina, proprio del trionfo di Messi, della sua presunta “vittoria” contro Maradona, eletto da molti esperti di calcio – finalmente – come il calciatore più forte al mondo.
E forse, statistiche alla mano, è così.
Allora mi sono chiesto prendendo in prestito l’argomento calcio per parlare come è mio solito di comunicazione: siamo proprio sicuri che il messaggio passato in queste ore secondo cui il più forte, il cosiddetto “estro del campione che ti cambia la partita“, sia sempre decisivo?
Mi sono dato una risposta (ovviamente opinabile, ci mancherebbe): penso che con l’eccezione, forse, di Maradona nel 1986 (che portò a vincere la sua Argentina contro una Germania sicuramente più organizzata), per come è andata la finale della coppa del mondo nel 2022 ho forte dubbi che il “fenomeno” Messi sia stato davvero decisivo.
Personalmente credo di no. Credo che non lo sia stato persino Mbappé (nonostante una la prova pazzesca, forse superiore a quella di Messi). Figuriamoci Messi!
E così sono arrivato ad una conclusione: la verità è che il mondiale lo ha vinto l’Argentina, meritatamente, ma non tanto grazie a Messi ma grazie al suo team.
Come nel calcio anche nella vita e nel lavoro
Questa cosa della squadra Argentina, e non Messi, che ha battuto Mbappé e compagnia bella è, e mi assumo la responsabilità tanto mica faccio l’esperto di calcio (la mia credibilità è quindi al sicuro) vera, lampante, trasparente, evidente. Ma sembra trovare davvero poco spazio sui giornali.
Il motivo? Fa poco notizia esattamente come fa poca notizia questo mio articolo. Perché non presta il fianco alla polarizzazione, non si schiera né contro né pro nessuno dei funamboli citati. Attenzione, il mio non è un andare contro Messi (che, anzi, stimo molto più di Ronaldo) ma contro la figura dell’uomo che fa vincere i mondiali da solo (a parte, forse e dico forse, per la “Mano de Dios”).
Eppure il team è cruciale non solo nello sport ma nella vita e nel lavoro. Lo vanno dicendo tutti i CEO. In azienda ormai tutti sanno la differenza la fa il gruppo, non il singolo (anche se, attenzione, non va negata l’importanza ispiratrice dell’imprenditore illuminato!).
Ma i media continuano a passare, fateci caso, il concetto opposto: “il talento è cruciale”, dicono, quando in realtà non è così.
Infatti se ci portiamo sul lavoro un’azienda con un team affiatato ha più chance di vincere le sfide che l’attendono. E se ci portiamo nel mio ambito del personal branding il “one man company”, ovvero l’imprenditore che vuol fare tutto da sé non delegando niente a nessuno, ha meno chance di spuntarla da solo rispetto al lavorare insieme ad un gruppo con cui è affiatato.
Per questo io credo che la straordinaria partita del 18 dicembre 2022, diversamente come titolano quei giornali che amano tanto i click facili, possa e debba essere ricordata (perché eccome se sarà ricordata!) come l’ennesima prova della superiorità del gruppo rispetto al singolo.
Lasciamo stare quindi i “chi è più forte o meno forte di chi” che prestano il fianco a competizioni individuali buone solo ad infervorare i tifosi (che cliccano!) ma che hanno zero utilità sociale. Lasciamo stare proprio questo concetto sul lavoro.
Insomma penso che non si debba mai sovrastimare – e tantomeno paragonare a quello degli altri – il proprio talento, credendolo sufficiente a sfondare, ritenendolo abbastanza per raggiungere il “successo”.
Al contrario penso che il talento, che se si ha è comunque meglio di non avercelo, sia preferibile metterlo sempre al servizio del team. Come d’altronde fatto da Messi e Mbappé nella finale.
E tu, che ne pensi?
Se ti va, lasciami due righe. Ci avviciniamo al Natale e, credimi, come recita Mariah Carey “All I want for Christmas is you” (di cui ho parlato qui) ovvero se mi vuoi fare un piccolo ma gradito regalo, regalami la tua opinione su questo post. Puoi scrivermi qui.
Prometto che l’apprezzerò lo stesso anche se non sarai d’accordo.