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Gli addetti ai lavori della comunicazione ripetono spesso il “mantra dell’ascolto”.
E fanno bene: d’altronde la comunicazione si fonda proprio sull’ascolto: non è possibile compierla davvero se tutte le parti coinvolte non ascoltano (senza far finta!) per realizzare quel “mettere in comune” (dal latino “communico”) che è il significato stesso di “comunicazione”.
Tuttavia sembra che questo “memorandum salottiero” – a cui, sia chiaro, partecipo anch’io soprattutto sul mio Linkedin – sia un po’ un “cantarsela e suonarsela da soli”. Sembra cioè che nei contenuti su blog e social dedicati all’ascolto si sottolinei forse troppo l’importanza dell’ascolto da parte di chi vende e meno invece di chi compra.
In pratica il messaggio che almeno a me sembra passare di più non è l’educazione all’ascolto quanto la necessità/obbligo da parte delle aziende di ascoltare i propri clienti per metterli nelle condizioni di fornir loro un servizio/prodotto migliore.
Mentre dell’importanza per i clienti di ascoltare e capire cosa stanno comprando sembra che se ne parli molto meno.
Il cliente NON ha sempre ragione!
Questo fenomeno a me sembra suffragare la tipica narrazione del “cliente ha sempre ragione”. Quella vecchia storia in auge nello scorso millennio che non è solo vetusta ma anche sbagliata. Col cavoletto di Bruxelles che il cliente ha sempre ragione!
Eppure chiunque ha p. iva sa che per quanto si sforzi a spiegare in modo trasparente ci sarà sempre chi comprerà ACDC (no, non mi riferisco alla band). Creando stress e problemi, e non solo a lui ma anche al fornitore, perché la sua opinione verrà macchiata da una percezione personale a cui crede ciecamente. Anche se non è necessariamente veritiera.
Per aiutare a riflettere meglio sulla questione, in particolare sul fatto che forse, e dico forse, non si può sempre evitare che i clienti ci ascoltino male o non ci ascoltino affatto, lasciandosi probabilmente coinvolgere troppo dalle emozioni, o da sentimenti come quello molto gettonato tra i brand come “l’appartenenza” (o anche la sua speranza, quella di voler far parte di un gruppo che – andando a verificare attitudini valoriali – in realtà spesso non vi si adatta affatto), ti racconto questa mia breve “sad story”.
Concludendo
Insomma a me sembra davvero che al di là di questo blog e di pochi altri, al di là di poche community di consulenti e formatori in ambito comunicazione che ne discutono anche sui social, esista un reale e grave problema di ascolto da parte dei consumatori di cui, forse, si parla ancora troppo poco.
Problema che riguarda persino chi – lavorando nella comunicazione (ma si sa, di cugggini in questo ambito ce ne sono tanti) – non ti aspetteresti.
Ma ora voglio passare la palla a te e chiederti cosa ne pensi. Le mie domande sono:
- Che ci sia del vero nella mia riflessione?
- E poi: non è che i clienti finiscono per rimbambirsi dei “brand acchiappa fiducia”?
- Come si rendono consapevoli di ciò che acquistano?
Se ti va di dirmi la tua opinione e magari la tua esperienza, ti leggo con piacere. Puoi scrivermi qui in privato o in pubblico alla social version di questo articolo che trovi qui sul mio Linkedin.
Se hai partita iva ti sarà certamente capitato di aver a che fare, malgrado tutto il tuo impegno e la tua devozione nello spiegare i tuoi prodotti o servizi, di ritrovarti con clienti che a distanza di tempo non solo ti rivelano di non aver capito una beata mazza, ma che malgrado prove a bizzeffe provano pure a mettere in dubbio la tua buona fede…
Let’s talk!