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Se chiedessi in giro a cosa serve il marketing, alcuni direbbero “a vendere di più”, altri “ad avere più clienti”, altri “a far tornare i clienti” ed altri ancora “a fare soldi”.

Quelle che hai letto sarebbero tutte spiegazioni valide. D’altronde il termine “marketing” si traduce proprio come “mercato” (con la “ing” che lo fa suonare “mercanteggiare”) conferendo al tutto concretezza ed inquadrandolo come lo strumento principale per fare business. Un argomento che ogni imprenditore dovrebbe un conoscere almeno un po’.

Tuttavia oggi che grazie alla rete i mercati si sono trasformati in “conversazioni”, quelle che hai letto sarebbero tutte definizioni parziali.

Ovviamente ciò non significa che lo scopo del guadagno non valga più ma che la trasformazione del marketing avvenuta nel corso degli ultimi 2/3 decenni lo ha messo (almeno nella percezione del cliente) in secondo piano, trasformandolo da obiettivo principale del marketing in sua “conseguenza”.

In sostanza nel “marketing moderno” postulato da Philip Kotler la vendita è la conseguenza di un obiettivo più profondo: la creazione di fiducia.

Questo marketing non a caso è un mezzo nelle mani delle aziende di ogni forma e dimensione (sì, anche del tuo piccolo personal branding) per fidelizzare i clienti, spingendoli conseguentemente ad acquistare anche più e più volte nel corso del tempo.

Come si crea la fiducia che dura nel tempo?

La verità sotto gli occhi di tutti (per accorgercene ci basta scrollare i social o una SERP, o sui mezzi tradizionali sfogliare un magazine o fare zapping col telecomando) è che la maggior parte delle aziende per creare fiducia fa uso di trucchetti psicologici di persuasione (eticamente accettabili se non si superano certi limiti) o addirittura di manipolazione (sicuramente non accettabili in alcun modo).

Uno dei trucchetti, probabilmente il più usato, è “fare sconti”: un modo facile e veloce per persuadere (o addirittura manipolare) i clienti portandoli ad acquistare.

Si tratta di una tattica di marketing che funziona a breve termine salvo però risultare spesso insostenibile (scontare ha sempre un costo!) con un effetto che alla lunga sa di “circolo vizioso” in cui più si abitua il pubblico allo sconto, più questo si pratica.

Il “perché” fa la scelta, il “cosa” e “come” la ripetono

Di contro però c’è un modo più etico di creare fiducia, questa volta però nel tempo (dunque risultati meno veloci, ma più duraturi perché basati sulla fidelizzazione), che consiste nel “convincere” ovvero agire sulla parte razionale del cervello dei potenziali clienti.

Tuttavia attenzione perché usare questa convinzione in modo esclusivo NON funziona.

In pratica parlare solo del prodotto, anche se il migliore tra tutti, di solito non è sufficiente ad ottenere risultati apprezzabili.

Questo perché le persone, e non c’entrano affatto i trucchi psicologici, tendono ad avvicinarsi a quelle aziende (brand) che prima di comunicare il loro “cosa” ed il loro “come” (appunto il prodotto e le sue caratteristiche) comunicano il loro PERCHÈ stimolando il naturale “senso di appartenenza” delle persone.

Si tratta cioè di generare fiducia, prima ancora che convincendo sul piano razionale, attraverso la comunicazione autentica dello scopo, ossia comunicando il motivo sociale ed umano che porta (ma attenzione, solo come “mezzo”) alla vendita di determinati prodotti o servizi.

In sostanza creare fiducia parlando alla parte irrazionale del cervello e raccontando il “perché” è il cuore di questo modo di fare marketing.

E funziona e continua a funzionare a maggior ragione che “come” e “cosa” sono all’altezza delle aspettative.

Ad esempio Apple, che sul raccontare un “perché” orientato al superamento dei limiti e sul contrasto allo “status quo” ci ha costruito un impero, continua a vendere sia per “il suo perché” sia per l’indubbia qualità dei prodotti (ovvero per i suoi “cosa” e “come”).

Anch’io nel mio piccolo all’uso di tattiche di persuasione (che reputo comunque valide – sul mio blog trovi anche questo articolo sul lavoro di Robert Cialdini – anche se potenzialmente dannose se applicate oltre un certo limite) preferisco un approccio basato sul perché.

Personalmente mi faccio scegliere per i miei valori, che risultano evidenti dal racconto del “mio perché”, lasciando i miei clienti liberi di scegliermi proprio perché avvertono di avere quei valori comuni. E così  “sentono” (col “sesto senso” detta anche “neurocezione”, ne parlo qui) di potersi fidare.

A sua volta cerco di ispirare i miei clienti a fare personal branding allo stesso modo ossia partendo proprio dalla scoperta del loro perché.

Ci credo

Credo fermamente in questo tipo di marketing etico anche perché so, avendolo costatato sulla mia pelle in più di 20 anni d’attività, che anche se non mi renderà mai ricco come Apple, funziona sia dal punto di vista mentale/psicologico (lavorare in modo etico fa far pace con la propria coscienza!) che economico.

E tu? Fammi sapere che ne pensi. Se ti va scrivimi pure da questa pagina.

(Foto: Pexels)

Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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