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Quando si fa personal branding si entra in un meccanismo virtuoso che stimola la crescita personale. A volte però si fraintende questo esercizio comunicativo (perché sempre di comunicazione parliamo) portando chi lo fa a pensare che senza perfezione non possa esserci personal branding efficace. E così accade che questa “credenza limitante” porti a bloccarsi, facendo agire con poca convinzione, con indecisione o a non agire, scegliendo, per paura di non apparire perfetti, di non fare personal branding o di non comunicare affatto.
Ma come ci ricorda il primo assioma della comunicazione anche non comunicare è comunicare, dunque cos’è peggio? Non comunicare affatto (comunicando “immobilismo”) e perdendo opportunità che i concorrenti nel frattempo sfruttano a loro vantaggio, o comunicare in modo imperfetto ma comunque migliorandosi?
Ma non si tratta certo solo di scegliere tra fare e non fare personal branding, ma anche di COME farlo.
Alcuni sedicenti “esperti di personal branding” ad esempio suggeriscono di escludere a priori le proprie opinioni dai propri contenuti social, parlando della “triade” politica, calcio e religione come argomenti tabù del personal branding perché, a loro dire, porterebbero a flame infiniti sui social.
Anni fa ne ho parlato, già con qualche critica, in questo articolo.
Anche se in parte è vero, a mio avviso escluderli a priori fa il gioco di quel personal branding “perfettino” che, per definizione, non esiste, anzi provare a realizzare uno scenario alla Pleasantville, film di qualche anno fa in cui i personaggi sono tutti felici (ma in realtà come si scopre nel finale tristissimi) è poco salutare oltre che poco efficace per la comunicazione.
Inefficace perché oggi le persone, e ci sono studi a dimostrarlo, preferiscono proprio quei brand che sanno esternare i propri valori con coraggio, a volte anche schierandosi politicamente.
In questo contesto un personal branding “imperfetto” è molto più efficace della “finta perfezione” di un personal branding fatto di troppe regole da seguire alla lettera: un motivo in più per lanciarsi (anche se attenzione: sempre con strategia e criterio!) facendo con fiducia personal branding.