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Nell’ultimo ottimo contributo video di Giorgio Taverniti dal titolo “Denunciamo Google? Ruba i testi dei siti italiani” ho avuto l’ennesima conferma di quanto sia grave il problema del copia e incolla selvaggio sul web (e come leggerai in seguito anche sui social). In questo articolo voglio raccontare due storie e fare qualche riflessione su questo argomento.
La prima storia è raccontata nel video di Giorgio che trovi qui sotto. Ed ancora più sotto trovi, e non credo che il buon Giorgio avrà da ridire, una mia brevissima (anche se incompleta) sintesi.
https://www.youtube.com/watch?v=a3Ze7FrF-tk
In pratica Giorgio spiega che Google attraverso la sua A.I. sembra prelevare molti testi dai siti italiani inserendoli all’interno dei suoi box laterali al motore di ricerca e fa un esempio emblematico trattando il caso delle regioni italiane prendendo a campione la ricerca della parola chiave “Abruzzo”.
Nel video racconta precisamente che quando si effettua questa ricerca, Google sembra “rubare” letteralmente un testo descrittivo dal primo sito posizionato nelle SERP inserendolo nel suo snippet laterale senza, ATTENZIONE, citarne la fonte, anzi addirittura firmando quel contenuto come proprio!
Un testo tra l’altro non proprio curato sia dal punto di vista sintattico che semantico. E quello dell’Abruzzo non è l’unico caso (nel video si fa anche l’esempio della Calabria).
Come sottolinea Giorgio alla fine del video è davvero triste che Google si approfitti della sua posizione dominante per non correggere quello che è un evidente problema etico ed un cattivo esempio. Da Google, anche in considerazione della buona immagine che si è costruita negli anni, ci si aspetterebbe correttezza, non di certo il mancato rispetto dei diritti di chi quel contenuto l’ha scritto e che non sembra essere un dipendente Google né la sua A.I. ma probabilmente un ignaro copywriter!
Quale soluzione per Google?
Il buon senso direbbe a Google, sempre che questo ascolti e si muova, di evitare il copia e incolla o al limite di citare SEMPRE la fonte dei contenuti rubacchiati dalla rete ed inseriti nei suoi snippet. Che poi in teoria per Google, sempre come ricorda Taverniti, il problema non dovrebbe neanche porsi perché la sua A.I. dovrebbe creare contenuti originali.
Appunto, in teoria, perché in pratica non lo fa.
Ascolterà questo invito? Sarà necessario che qualcuno si rivolga ad un tribunale perché la smetta o corregga i suoi errori? Chissà.
Ciò che è invece è certo è che purtroppo il caso Google non è l’unico in cui grandi media non danno proprio l’esempio di correttezza, dimostrando di sfruttare il copia e incolla per i propri interessi. E se non lo fanno direttamente, come nel caso Google raccontato da Giorgio, lo fanno anche indirettamente lasciando che siano gli utenti a fare copia e incolla di contenuti altrui senza intervenire massivamente attraverso i loro algoritmi.
E questo probabilmente perché gli fa comodo.
Eppure la tecnologia odierna permetterebbe benissimo di bloccare o mitigare il fenomeno del copia e incolla selvaggio: in fondo si tratterebbe solo di “incrociare” dei testi tra di loro, un’operazione, e lo dico da programmatore, è tra le più semplici. Tra l’altro Google e tutti i maggiori player hanno enormi quantità di dati su cui poter lavorare, molti dei quali sono di pubblico dominio.
È evidente allora che se da un lato Google si è mossa da tempo in questa direzione (basti pensare alla penalizzazione dei contenti duplicati, fa strano da parte di uno che poi duplica per i propri comodi, eh!), è altrettanto evidente che in generale, e qui mi riferisco ai social, non si voglia fare.
LinkedIn: anche tu, cosa mi combini?
Sempre di recente e sempre riguardo a questo argomento voglio raccontare la seconda storia che è un’esperienza non proprio bella che ho vissuto su Linkedin, il social dedicato al business che anch’io utilizzo per veicolare il mio personal branding. Un social che, pur mantenendo funzionalità potenti ed utilissime in chiave business che altri non hanno, a giudicare dai newsfeed sembra stia diventando sempre più simile alla patria della caciara in salsa social: Facebook.
Venendo a noi, parlavo di algoritmi che non bloccano o limitano i contenuti duplicati, giusto?
Eccone un caso secondo me emblematico (uno dei tanti e sempre più diffusi su Linkedin, purtroppo!) dove nello screenshot ho volutamente censurato l’utente in questione perché, come si nota in basso a destra dall’enorme engagement del post, non credo abbia bisogno di ulteriore visibilità.
Ora, che sia chiaro: il tizio in questione non ha commesso nulla di illegale (la definirei più che altro un’operazione di copywriting molto “furba” nel senso negativo del termine).
Certo, non sono stato molto contento quando il mio commento è stato rimosso (e non solo il mio, anche quello dell’ex “Iena” Mauro Casciari che è stato il primo a sottolineare il problema e che ringrazio perché in chat mi ha promesso che darà visibilità a questo articolo, hhihiih!).
Per la cronaca nel mio commento gli facevo notare la scarsa etica nell’uso di un “copy eroico in prima persona” che in realtà non era il suo ma di una certa, probabilmente ignara o del tutto inesistente, “Brigitteh H”.
Ma il vero punto della questione e che secondo me si lega perfettamente alla storia raccontata da Giorgio è un altro:
Anche in questo caso Linkedin, sebbene a differenza di Google non sia l’artefice del “misfatto”, sembra incentivare anziché penalizzare un post copiato.
LinkedIn, tra l’altro, si è guadagnato la fama di essere il social del “contenuto professionale” e, come tale ci si aspetterebbe anche originale o quantomeno dove le citazioni (a cui andrebbero preferite comunque le condivisioni) andrebbero fatte includendo un link o un tag. Perché di fatto una citazione senza questi due elementi è come se non fosse una citazione ma una presa per il… (ci siamo capiti!).
E l’algoritmo di LinkedIn in questo caso che fa?
LinkedIn purtroppo lascia che il consenso e l’approvazione del pubblico per quella che è una dichiarazione mendace (fino a prova contraria una fake news, diciamolo!) vengano considerati fattori positivi di ranking dando al post visibilità gratuita e pressoché illimitata a giudicare, dopo solo 3 giorni, dall’enorme numero di commenti e condivisioni!
Concludendo
Insomma, questo è solo uno “spaccato” del problema e ce ne sarebbe da continuare a dire su come le multinazionali del digital affrontano il tema dei contenuti duplicati.
Non so a voi, ma a me sembra che lo trascurino tantissimo quando a farne le spese sono i loro interessi economici salvo però mettere i puntini sulle “i” negli altri casi.
Ricordiamoci infatti che Google, LinkedIn, ma anche i vari Meta (Facebook, Instagram e Whatsapp) ed i social minori hanno tutto l’interesse perché gli utenti restino più tempo possibile sulle loro piattaforme, e così accade che incentivino rendendo virali contenuti che in realtà non lo meritano affatto.
Attenzione, qui non si sta chiedendo agli algoritmi di capire il significato dei testi (cosa comprensibilmente ancora difficile nel 2022), ma come detto di confrontare un testo con un database di altri testi oppure, ancora più semplicemente, di interpretare certe espressioni (per dire: non sarebbe difficile intercettare un “condiviso da” seguito da un non-link come nel caso del post LinkedIn che ho menzionato, è un cosa che potrebbe fare poche righe di codice Pascal!).
Google e LinkedIn (che ricordo è controllata da Microsoft), a maggior ragione che negli anni a differenza di altre piattaforme si sono guadagnati la stima ed il rispetto di moltissimi, dovrebbero essere i primi a muoversi in tal senso, dando per primi il buon esempio, evitando di incentivare l’uso ed abuso di una pratica davvero fastidiosa perché svilisce chi si impegna davvero nella creazione di contenuti di qualità ed originali, che è quella del copia e incolla selvaggio. A meno che non riportino una citazione (con link) reale e veritiera, ovviamente!
E voi, che ne pensate? Mi piacerebbe tanto confrontarmi con voi anche su questo argomento bello tosto!
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Aggiornamento del 3 maggio 2022
Non è vero che Google “ruba” i testi dai siti italiani per riempire i suoi “snippet”. Lo ha spiegato Danny Sullivan, public liaison for search per Google, su Twitter a Giorgio Taverniti per “intercessione” del SEO Expert Gianluca Fiorelli.
Molto brevemente: sembra che Google abbia semplicemente riutilizzato dei testi scritti da Google stessa negli anni precedenti (quindi di fatto detenendone i diritti) salvo poi farli sparire, testi che sono stati usati successivamente da altri siti (sono stati loro in realtà a copiare). Ad ogni modo ciò ha lasciato intendere a Giorgio che ci fosse un problema di diritti e di A.I. (che si è scoperto Google non usa, infatti Sullivan ha dichiarato che c’è un team di editor preposto a questa attività). Insomma si è trattato di un fraintendimento che forse la stessa Google ha provocato.
Giorgio comunque, per chi volesse approfondire, spiega l’accaduto in questo suo nuovo video in cui si scusa (onore a lui, non è da tutti!) per aver diffuso in precedenza un contenuto non veritiero.
E mi scuso ovviamente anch’io per averlo riportato fedelmente in questo articolo. Anche se anch’io, come lui, credo che non tutti i mali vengano per nuocere: infatti questa storia è servita a svelare retroscena nell’attività di Google che diversamente sarebbero emersi. Che ne pensi?
Chissà se anche Linkedin, intanto, avrà la meticolosità e la voglia di fare chiarezza sul modo in cui “premia” i contenuti dei suoi utenti…