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Più passa il tempo, e più mi rendo conto di quanta “fuffa” circoli in rete. La fuffa è tutto quell’insieme di pratiche poco etiche, scorrette e certe volte anche illegali che purtroppo vengono perpetrate da sedicenti marketer ed esperti di comunicazione, ma che in realtà andrebbero chiamati solo con il vero nome: truffatori. È vero che nel mondo c’è anche di peggio, ma prendere in giro le imprese spesso con l’illusoria promessa di accrescere il loro business in pochissimo tempo, non è affatto bello.
Anzi in realtà certe brutte abitudini non solo danneggiano gli interessati (i truffati e, alla lunga, i truffatori stessi, che si “bruceranno”), ma anche il mercato. Si, quello fatto da consulenti seri, e per fortuna ce ne sono tantissimi, che con pazienza, serietà e coerenza, dicono le cose come stanno, senza illudere mai i clienti, senza promettere nulla, ma semplicemente spiegando, formando e strutturando in modo serio campagne di comunicazione o di marketing personalizzate, direi “a misura d’azienda”.
In questo post voglio fare un’elenco (ebbene si, fare elenchi sta diventando una piacevole abitudine, e questo perché aiuta la lettura e a focalizzare meglio i contenuti) di quelli che sono, a mio personale giudizio, le pratiche di marketing e di comunicazione più scorrette che un imprenditore dovrebbe assolutamente evitare di attuare.
Ma come detto la cosa ancora più triste è che si tratta di comportamenti attuati spesso da addetti ai lavori: davvero imperdonabile visto che il fattore “ignoranza” in questi casi dovrebbe escludersi. No, purtroppo c’è chi il lavorare in modo poco etico lo fa proprio una scelta di vita. Mi auguro che semmai qualcuno di questi “esperti” realizzasse di aver compiuto qualcuno di questi trucchi e che rimediasse in qualche modo, finché ne è in tempo.
1) Usare una lista con indirizzi mail non propri
Il trucco di acquistare (o procurarsi) un database di migliaia, se non milioni, di contatti ed inviare loro mail, sebbene in modo leggero, ad esempio esordendo con frasi tipo “ho trovato il suo indirizzo da una ricerca sul web”, non è etico. Punto. Ed è inutile ribadire che si può fare, tanto i contatti sono autorizzati (siamo sicuri che apprezzino mail da sconosciuti col fine di vendere o di ottenere qualcosa, e non di certo di acquistare da loro?), oppure giustificarsi al grido di “ma tanto lo fanno tutti, alla fine si tratta solo di violare un tantino la legge sulla privacy, e che sarà mai”. Fare spam è pratica odiosa, perché infastidisce sempre un sacco di gente. Ed anche se per la legge dei grandi numeri qualcuno abboccherà e quindi la pratica porterà risultati, va evitata sia per principio, sia perché non ha senso barattare qualche contatto interessato col farsi mal vedere da molti (magari beccandosi una segnalazione come “spammer” o, peggio ancora, una sanzione dal Garante della Privacy). Fare mail marketing è un’attività meravigliosa (e statisticamente quella che funziona meglio), ma a patto che venga fatta con liste proprie, con cui si ha avuto almeno a che fare e che ci hanno autorizzato al dialogo. Il motto deve essere “pochi ma buoni”. Usiamo quindi questo mezzo nel modo corretto: i risultati arriveranno alla lunga, è vero, ma senza rischi, e potremo intrecciare rapporti lavorativi di qualità.
2) Creare o comprare recensioni fasulle
Il fenomeno delle recensioni finte è diffusissimo, ma in ridimensionamento, per fortuna. Infatti in molti hanno capito che così come è facile scrivere (o farsi scrivere) feedback positivi, con tanto di 5 stelline, ma finte, è altrettanto facile “sgamarle”. Guarda caso sembra infatti che siano fatte tutte col copia e incolla, col cognome puntato, senza foto o con foto di repertorio (e basterebbe Google Immagini per scoprirlo), da profili palesemente finti perché senza “storia”. Vale davvero la pena rovinare una pagina Facebook o Google+, o un account di TripAdvisor fingendo di essere apprezzati? Direi proprio di no. Oltre tutto, come detto, è facile farsi scoprire, e sarà necessario cancellarsi e ricostruire la propria web-popularity con costi esosi. Ma allora come fare per ricevere recensioni positive? Semplice: essere se stessi. Ma un trucco etico esiste: invitiamo i nostri clienti o in generale chi ci conosce a rilasciare una recensione per noi. Non c’è nulla di male, e probabilmente servirà come un piccolo “trampolino di lancio”. Tuttavia va ricordato che alla lunga sarà solo e soltanto il servizio clienti che offriamo a condizionare il livello generale delle recensioni.
3) Comprare followers
Comprare likes su Facebook o followers su Twitter è facilissimo. Un po’ come per il punto 2, anche qui esistono siti davvero poco seri che vendono pacchetti di “fake users”. Questi siti guadagnano, di solito, sfruttando internauti che si accontentano di pochi dollari pur di cliccare sulle pagine social dei brand occidentali. Il punto è che questi internauti non hanno alcun vero interesse nel diventare followers (a parte guadagnare miserie): ne consegue che pur raggiungendo l’obiettivo di apparire con migliaia di followers, in realtà sono contatti sterili, con cui non è possibile interagire in alcun modo. Che ignorano in pratica i post e gli aggiornamenti di stato, per intenderci. Anche qui, solita domanda retorica: ne vale davvero la pena? Direi proprio di no!
4) Dichiararsi leader del mercato
Nel 2017 c’è ancora chi si dichiara “leader del mercato”. È una frase davvero senza senso, se ci pensiamo. Neanche Amazon, Facebook o Microsoft, per esempio, pur potendoselo permette, fanno comunicazione auto-celebrativa. Pensaci, e chiediti il perché. Se non l’hai capito da solo, te lo spiego in poche parole: da qualche anno, da quando il web marketing si è affermato, è proprio cambiato il modo in cui i consumatori si approcciano nei confronti delle aziende, ne parlo in altri post, ad esempio anche qui. Prima erano “polli da spennare”, ora invece sono loro i veri “leader del mercato” perché decidono sulla base di ciò che si dice online in relazione ai prodotti ed ai servizi offerti dalle aziende. E quindi dichiararsi leader, o elencare le proprie qualità, è un errore grave che il consumatore riconosce subito, non fidandosi e standone alla larga.
5) Plagiare altri siti
Ecco un errore davvero grave che alcune aziende fanno: utilizzano testi, immagini o foto di terzi senza alcuna preventiva autorizzazione. Sono ladri digitali che violano la proprietà intellettuale dei concorrenti. Il plagio, tra l’altro, è un reato vero e proprio, che però non serve neanche denunciare formalmente, perché a “punire il colpevoli” ci pensa Google. Il motore di ricerca per eccellenza, infatti, penalizza le pagine clone, dando lustro ai contenuti originali, e mettendo in secondo piano i contenuti copiati. Il consiglio, se proprio vogliamo riportare contenuti di terzi, è almeno quello di chiedere il permesso e di citare la fonte. Non ci eviterà la penalizzazione SEO ma almeno daremo un riconoscimento al vero autore ed eviteremo una denuncia.
6) Parlar male dei competitor
Spesso parlo male dei competitor che non si comportano eticamente, ad esempio cercando di vendere strumenti con promesse impossibili da rispettare, quindi potrei essere tra quelli che commettono questo errore. Ma in realtà mi riferisco al parlar male facendo nome e cognome, specie con critiche del tutto infondate. Diffamare qualcuno è un reato in ogni caso, ma diventa ancora più grave nel caso lo si faccia per interessi economici o di parte, perché spinti ad esempio dalla superbia, dall’opportunismo e dall’egoismo. C’è chi parla male del vicino negoziante, che ad esempio vende articoli simili ai nostri, perché crede che cosi facendo possa conquistarsi la fiducia del cliente, ma non si rende conto che il cliente spesso vede questo atteggiamento come poco professionale, oltre che irrispettoso. Ma anche nel mercato globale rendersi nemici i competitor è un errore, perché il mercato è immenso, e quindi che senso ha in presenza di una torta così grande? Ove possibile, anzi, se si condividono gli stessi ideali, dovremmo stringere con loro alleanze, perché oltre tutto spesso si può trarre più vantaggio da un’alleanza che da uno scontro: il cosiddetto “win-win”.
7) Utilizzare immagini sessuali
Nella comunicazione è la scelta peggiore che si possa fare. È la scelta spesso più facile, un “trucco” che scavalca il brain-storming alla base di una buona idea. Eppure esistono art director che sviliscono ancora l’immagine della donna utilizzando foto di modelle mezze nude, con doppi sensi che potrebbero fare breccia solo nella mente di maniaci sessuali. Bisogna ammettere che ciò spesso avviene perché certi simbolismi è la società che ancora li permette. Molti uomini, in generale in tutte le società, tendono purtroppo ancora a vedere la donna come un oggetto sessuale, e la comunicazione certe volte a ciò si adegua, assecondando le aspettative maschili e rilanciando con tanto di interessi. Eppure, al di là della sensibilità personale di un grafico, quest’ultimo dovrebbe evitare per deontologia l’uso di immagini che possano in qualche modo giustificare o, peggio ancora, fomentare l’abuso di potere che la donna è, sebbene molto meno rispetto al passato, oggi ancora costretta a subire nella nostra società.