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Le immagini strazianti che arrivano dall’Ucraina, oggetto della guerra violenta ed insensata voluta da Vladimir Putin, mi hanno fatto riflettere ancora una volta sul ruolo e sull’utilità del marketing, in particolare del branding e personal branding. Mi hanno fatto pensare al fatto che, malgrado la sua importanza, il marketing scompaia letteralmente di fronte all’importanza ed alla gravità di una realtà terribile in cui intere famiglie vengono giornalmente smembrate, con uomini mandati al fronte divenendo bersaglio dei missili russi, mentre donne, anziani e bambini, se non trovano rifugio in una metropolitana, vengono inviati al confine per diventare di fatto profughi di guerra.
Una situazione grave e precaria che ricorda quella vissuta da noi tutti nel 2020 con l’avvento della pandemia Covid-19 (in questi anni ne ho parlato più volte, ad esempio in questo articolo), anche se meno grave ed incontrollata.
Perché un popolo sotto le bombe non può sfuggire facilmente alla morte. Non gli basta isolarsi, ma dovrà per forza nascondersi in un bunker, qualcosa che è alla portata di pochissime persone. Un popolo in guerra non rischia di rimanere per sei mesi a casa, ma di morire.
Dunque se l’importanza del marketing è stata oscurata solo in parte dalla pandemia, la minaccia della guerra nucleare il marketing lo oscura totalmente, rendendo campagne ed attività di social media marketing, ma anche di redazione e pubblicazione di articoli su blog come questo che stai leggendo, del tutto vuote, vane, evanescenti. Quasi, tenendo anche conto della crisi economica già in atto e che probabilmente si inasprirà ulteriormente, addirittura “insensate”.
Per questi motivi la domanda che titola il mio articolo probabilmente per molti ha già una risposta: “ha ancora senso fare marketing in tempi di guerra?”. No, non ne ha.
Solo apparentemente
Già perché esiste uno spiraglio in cui marketing e branding possono ancora dire la loro, persino in tempi bui come questi.
Torno infatti a pensare alla meravigliosa poetessa Maya Angelou ed alla sua famosa frase “le persone dimenticano tutto ciò che dici e fai, ma non dimenticano come le hai fatte sentire”. E così finisco per rinvigorire la fiducia nel marketing tipica di chi fa il mio mestiere.
Così penso che sì, anche il marketing un senso ce l’ha. Persino in tempi di guerra.
E allora cerco di ricordare come i brand in passato hanno affrontato la guerra. Cosa hanno fatto per “far sentire meglio le persone”, per dare loro un minimo di aiuto, e mi torna in mente che durante la Seconda Guerra Mondiale la Coca Cola mantenne la promessa di rifornire le truppe americane del suo drink, per farle sentire meno tristi, per dar loro un po’ di sollievo morale. Facendoli sentire, malgrado la lunga assenza dal luoghi natii, un po’ meno al fronte ed un po’ più a casa.
Durante quella guerra quell’iniziativa passò molto in sordina, quasi nessuno ne parlò.
Ma finita la guerra moltissimi americani se la ricordarono, spingendo ancor di più le vendite di Coca Cola non solo in USA ma anche in Europa dove l’azienda aveva installato dei sistemi di produzione ed imbottigliamento momentanei che diventarono presto la base per la creazione degli stabilimenti europei definitivi.
Non serve però andare così indietro nel tempo per ricordare quanto il marketing possa essere utile anche in tempi di guerra.
Giorni fa Elon Musk ha dato una prontissima risposta al Ministro per lo sviluppo tecnologico ucraino Mykhailo Fedorov che denunciava la distruzione degli apparati di comunicazione locali da parte delle forze russe con conseguente impossibilità ad usare la rete internet. Presto detto, Musk ha attivato il suo Starlink (tra le aziende di cui è CEO) inviando in tempi record gli apparati necessari al suo “collegamento internet satellitare a prova di bomba”.
Anche in questo caso è immaginabile che il personal brand di Elon Musk (in verità non è sempre stato in termini reputazionali impeccabile, forse ricorderai certe sue mosse finanziarie in ambito crypto da molti bollate come “speculazioni”), trarrà un enorme beneficio.
Oggi che siamo tutti concentrati ad osservare una guerra a noi vicinissima nessuno, a parte qualche nerd come me (lo ha fatto ieri anche Flavius Harabor, qui il suo articolo interessantissimo “la prima guerra social della storia” che ti consiglio assolutamente di leggere), ne parla e ne loda il gesto più di tanto.
Ma domani? Domani Musk sarà ricordato, tra l’altro coerentemente col purpose dei suoi brand, come quello che ha reso possibile una cosa impossibile. A beneficio della reputazione non solo sua e di Starlink, ma anche di tutte le aziende che amministra.
Fare marketing ha ancora senso
Alla luce dei due semplici esempi Cola Cola ed Elon Musk la domanda perciò diventa “il marketing può essere usato in modo utile anche di questi tempi?” e la risposta non può che essere affermativa.
Ma come fare? A quali condizioni?
Tornando alla nostra vita di piccoli partite iva che utilizzano per lavoro i social media (non siamo tutti Musk e Coca Cola!), anche in questo caso il marketing può avere un impatto sulle vite altrui. Minimo, ma comunque considerevole se siamo tanti ad attuarle.
Prima di tutto chi ha campagne social in corso, o più generalmente sta facendo branding o personal branding, dovrebbe considerare che poiché nel momento in cui scrivo la situazione (anche economica) è fortemente incerta, non si può sapere come si evolverà e quando finirà. Cioè non essendo mai successo nulla di simile prima d’ora, le possibili previsioni probabilmente sono sbagliate.
Quindi regola numero uno: massima attenzione, perché prendere decisioni su pochi dati, oltretutto incerti, può portare ad una strategia a breve termine sbagliata.
Il discorso invece cambia in ottica medio e lungo termine, da cui la possibilità per i brand di “diventare memorabili” (attenzione: a patto di farlo perché si ha davvero a cuore il voler aiutare gli altri, e meglio non fare i furbi credendo che non si capisca!).
Infatti, senza ovviamente mai e poi mai sottovalutare l’importanza e la gravità della guerra rispetto al marketing, secondo me ci sono tre cose che, come brand, oggi puoi fare:
- Muoviti. Non perdere troppo tempo che bisogna essere veloci nel fornire soluzioni pratiche. Se non sei in grado di agire velocemente, meglio non agire affatto! Come fatto da grandi brand come Airbnb che ha da subito offerto sistemazioni gratuite ai rifugiati oppure Flixbus che ha offerto viaggi in autobus gratuiti per muoversi dai confini ucraini verso i paesi europei ospitanti, nel nostro piccolo, se ad esempio sei un hotel o una strutture ricettiva puoi donare delle sistemazioni. Anche una soltanto per struttura farebbe una grande differenza! Invece se sei un professionista o formatore puoi donare servizi o corsi gratuiti a quei cittadini ucraini che hanno bisogno di un supporto legale, burocratico, linguistico, di comunicazione, ecc… (ne approfitto: se sei un ucraino o un ucraina in fuga dalla guerra sono a tua completa disposizione per aiutarti nel mio ambito di competenza senza chiederti nulla!).
- Ferma tutte le tue compagne social e rivedile. Se riguardano argomenti che potrebbero mancare di rispetto a qualche categoria coinvolta, oppure eccessivamente ludici, divisivi, sarcastici, valuta di fermarle. Valuta di cambiare il tuo tone of voice. Inoltre se i tuoi prodotti o servizi sono particolarmente soggetti alla crisi finanziaria e li stai vendendo online metti le schede o le campagne offline e rivedi tutti i prezzi, altrimenti potresti rimetterci (occhio che un “errata corrige postumo” dei prezzi non è sempre gradito, pena piccolo danno reputazionale).
- Non strumentalizzare mai, anche involontariamente, la vicenda ucraina per il tuo tornaconto. Attenzione a non fare come la testata giornalistica “Repubblica” che è stata molto criticata sui social per aver fatto girare una Facebook Ads proponendo l’abbonamento alla sua versione a pagamento facendo leva sulla “fame di informazioni” dal fronte bellico. O come il politico di cui ti parlerò in chiusura.
Concludendo
Attenzione, e concludo richiamando proprio il terzo punto, soprattutto a non virare totalmente e da un giorno all’altro la tua comunicazione.
Se ad esempio il tuo brand non ha MAI fatto brand activism cioè non si è mai curata di temi sociali concentrandosi sugli affari o comunicando valori diversi, virare improvvisamente su una comunicazione di impatto sociale/pacifista potrebbe dimostrarsi un boomerang per la reputazione.
In ambito personal branding mi viene in mente il pessimo esempio di Matteo Salvini che dopo aver per anni appoggiato Putin, ad esempio indossando pubblicamente la sua maglietta e dichiarato più volte il fatto che fosse un grande leader ed un modello per lui, da un giorno all’altro ha cominciato a parlare di pace.
Attenzione perché mettere la bandiera della pace nella comunicazione (personalmente ho scelto di farlo sia qui che sui miei social) o usare i colori della bandiera ucraina può essere in ogni caso una buona idea perché è un segnale di vicinanza.
Tuttavia fai attenzione a non fare come Salvini che è l’esempio di ciò che non si dovrebbe proprio mai fare per non auto-distruggersi (d’altronde per i sondaggi la sua popolarità oggi è in netto calo). Per capirci: se ad esempio anche tu sei sempre stato un fan di Putin e lo hai sempre detto nei tuoi social, un improvviso cambiamento di vedute dovrebbe essere ben spiegato e motivato, altrimenti può essere interpretato come non sincero, finto ed opportunistico, danneggiando gravemente il tuo brand.
Perché cambiare idea ci sta, ma farlo senza spiegazioni è un grave errore in quanto la citazione Maya Angelou farà comunque il suo corso ma, in tal caso, in senso negativo.
PS: se ti è piaciuto questo articolo ispiratomi dalla guerra in Ucraina forse potrebbe piacerti anche questo qui in cui parlo del concetto di verità.