(Tempo di lettura 3 minuti)
Quando si parla di fare promozione, ancora oggi si combatte una guerra senza esclusione di colpi tra i due “giganti” della comunicazione: il branding e la pubblicità, schieramenti agguerritissimi che contano ancora su importanti risorse finanziarie e intellettuali.
Ma eccoli in rassegna…
Facendo un paragone calcistico, la pubblicità è delle due certamente la “squadra” dal passato più glorioso, un po’ come il Real Madrid, capace di vincere con la forza dei propri ricchissimi campioni. Il branding è invece la squadra “povera” e con meno titoli, molto più giovane, ma capace di soppiantare l’avversario piuttosto con la tattica, rendendolo dal presente e dal futuro molto promettente.
Questo “scontro tra titani” è ancora in corso. Ma il fischio finale sta per arrivare sancendone il risultato. Vuoi sapere chi vincerà? Ebbene si: il branding!
Insomma, paragoni bellici o sportivi a parte, il branding è ormai il presente e il futuro della comunicazione, mentre la pubblicità ha fatto ormai il suo tempo.
In questo post voglio parlare della differenza tra fare branding e fare pubblicità. Se per gli addetti ai lavori, infatti, questa differenza può essere ovvia, mi sono accorto che tra gli imprenditori non lo è affatto, e che pertanto va sicuramente argomentata.
Qual è la differenza tra Branding e Pubblicità?
Iniziamo con la pubblicità: bisogna riconoscere a quest’ultima il merito di aver trascinato lo sviluppo economico italiano a partire dal dopoguerra. Il boom economico italiano degli anni ’60, soprattutto, deve moltissimo soprattutto alla pubblicità televisiva: furono trasmessi i primi spot, il carosello e la martellante comunicazione, proseguita per i decenni a venire, che suggeriva agli italiani ciò che avrebbero potuto (leggasi “dovuto”) avere, complice il ritrovato potere d’acquisto, senza troppi sforzi: un frigorifero, una pastiglia per il raffreddore, una nuova marca di caffè o una Cinquecento.
Ma cambiò tutto quando arrivò ed inizio ad affermarsi un nuovo potente media, destinato a rimpiazzare la tv quale mezzo di informazione e di intrattenimento: internet!
Il branding, cioè una delle innumerevoli branche del marketing (anche la pubblicità, a dire il vero, può far parte di una strategia di marketing!), iniziò a rimpiazzare il concetto di pubblicità. E questo perché il branding NON è la pubblicità, ma è molto, ma molto di più.
E allora veniamo al sodo della questione: mentre la pubblicità è un mezzo che generalmente “impone” un messaggio, rimarcando l'”io”, il branding invece rimarca il “tu” o il “noi”.
Ma facciamo un piccolo passo indietro: l’affermazione del web ha accresciuto enormemente la consapevolezza dei consumatori, i quali sono passati in pochi anni da essere soggetti passivi (cioè che sorbiscono passivamente la comunicazione pubblicitaria) in soggetti attivi (cioè dotati di spiccate capacità di critica e quindi di scelta, cioè non più disposti a prendere per buona qualsiasi cosa per l’influenza di uno spot televisivo, ma con in seno un costante “beneficio del dubbio” sulla realtà bontà di un prodotto o servizio). Di soggetti attivi (la massa critica) ne parlo anche in questo mio precedente post sul futuro del marketing.
Ma torniamo ai giorni nostri: il consumatore è critico, e lo sarà sempre di più in futuro. È evidente che quindi la pubblicità come la intendiamo oggi funzionerà sempre meno. Al contrario il branding, grazie al suo modello meritocratico ed aperto al confronto con il potenziale cliente (che viene messo al centro, a differenza della pubblicità in cui era il brand al centro), consente di creare un’immagine del brand più veritiera agli occhi del consumatore, che reagirà positivamente (o negativamente).
Possiamo quindi dire che:
Branding = Pubblicità + Onestà
Non si può che concludere dicendo che nel marketing, di cui come detto il personal branding è una parte importante, applicare questa semplice equazione può fare la grande differenza tra investire sensatamente ed investire in modo fallimentare.
Comunicare in modo onesto significa evitare la formulazione di messaggi pubblicitari tradizionali a favore di messaggi più diretti, informali, non istituzionali, non auto-referenziali, ed in cui è il bisogno o il desiderio del potenziale cliente (il target) ad essere al centro dell’attenzione.
Fare pubblicità è ancora possibile, ma solo dopo aver acquisito la fiducia del cliente.
Oggi siamo in piena trust-economy, l’economia della fiducia: un modello che non scomparirà mai, anzi sarà sempre più estremo. La pubblicità tradizionale scomparirà del tutto, a favore di messaggi di personal branding estremamente mirati e personalizzati.
Il branding è fatto quindi di messaggi che hanno come obiettivo, com’è ovvio, la vendita, ma in tempi più lunghi, proprio perché basata sulla reale fiducia: un valore che, proprio come nei rapporti umani, richiede tempo per essere pienamente fatto proprio.
Insomma capire pienamente il presente ed il futuro della comunicazione e della sua “umanizzazione” non può non passare dalla presa di coscienza che la pubblicità ha perso ed il branding ha vinto.