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Negli ambienti della comunicazione e della pubblicità si parla di “effetto Aiazzone” quando un’azienda comunica in modo così insistente da generare alla lunga nel pubblico, invece della voluta fidelizzazione, l’effetto opposto, cioè un sentimento di disinteresse e, nei casi più gravi, addirittura di fastidio.
Questa espressione nasce dalla storia del noto mobilificio biellese “Aiazzone”, affermatosi negli anni ’80 grazie a numerosi spot e televendite che, proprio in quegli anni, ebbero grande rilievo sulle tv private nazionali. Erano d’altronde gli anni del boom delle emittenti del gruppo Fininvest di Silvio Berlusconi (oggi Mediaset) che diedero enorme spazio al Gruppo Aiazzone e ai suoi slogan: tra questi il più noto fu certamente “provare per credere”, con la formula di vendita che ne sancì il successo “consegna in tutta Italia, isole comprese”.
La pubblicità di Aizzone, capitanata dal sagace imprenditore Giorgio Aiazzone, consentì all’azienda di espandersi molto, aprendo numerosi punti vendita in Italia, e generando fatturati elevanti ed in costante crescita. Tuttavia la pubblicità televisiva fu proposta negli anni a venire in modo così martellante e serrato che sul finire degli anni ’80 iniziò a generare un effetto apposto di indifferenza e fastidio, appunto il cosiddetto “effetto Aiazzone”. In verità l’azienda andò in crisi anche in conseguenza della scomparsa per incidente aereo di Giorgio Aiazzone, e da allora non si riprese più.
Eppure ancor oggi si parla di “effetto Aizzone” quando un’azienda esaspera la propria comunicazione al punto da rovinarne l’immagine anziché esaltarla.
Persino ai giorni nostri, in cui sempre più aziende preferiscono comunicare su internet e quindi in modo “targettizzato” evitando il “push” tipico della pubblicità televisiva, quando si esagera ed il pubblico si allontana si parla ancora di questo spiacevole effetto.
Un pratico esempio dell’effetto Aiazzone nella moderna comunicazione sul web è la newsletter: se l’azienda definisce un piano editoriale troppo fitto, facendo cioè passare troppo poco tempo tra un invio e l’altro, il lettore può interpretare tale comunicazione come un “tentativo di forzare”. La conseguenza è in questi casi portarlo a cancellarsi (e ciò nonostante la newsletter sia di suo pieno interesse).
Al contrario, se la newsletter viene inviata ad intervalli meno frequenti, ma allo stesso tempo in modo continuo, non si correrà il rischio che venga recepita negativamente come un sovraccarico di informazioni (“information overload”).
Ma esiste un altro esempio di effetto Aiazzone ai tempi di internet e dell’odierna tv digitale, cioé tutta la comunicazione scontata e banale.
Sebbene il tasso di originalità degli odierni messaggi pubblicitari sia aumentato rispetto al pacchiano stile comunicativo degli anni ’80, in cui frasi come “provare per credere” funzionavano solo per l’immaturità del pubblico che per la maturità dei creativi, c’è ancora chi oggi usa slogan scontati, senza alcun valore di unicità e specificità.
Senza menzionare i casi più gravi, in cui ancora oggi si adopera il sesso ed il corpo femminile come scontatissimi e talvolta volgari elementi per catturare l’attenzione, un tipico esempio di effetto Aiazzone è l’uso di slogan banalissimi. È un vero peccato anche perché si dimostra di non riuscire a realizzare un contatto non artificioso con il pubblico: soprattutto si dimostra di non riuscire affatto ad emozionarlo.
Gli slogan che oggi funzionano, al contrario, sono quelli che in cui si vendono sogni, ma offrendo ai clienti soluzioni, mettendoli cioè al centro della comunicazione con reali vantaggi. Senza l’utilizzo di fumosi quanto banali espedienti pubblicitari. Il pubblico non si lascia più irretire.
Va anche detto che l’effetto Aiazzone è diffuso in tutti i media di oggi perché lì dove i messaggi pubblicitari si accavallano (e l’ambiente dei social non ne è immune), la qualità lascia molto a desiderare: tutto questo grazie al pressapochismo di certi “comunicatori”.
Per fortuna che gli anni ’80 sono passati da un pezzo! O forse no?