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Ho conosciuto la band inglese dei Queen ed il suo leggendario front-man Freddie Mercury nei primi anni ’90 quando avevo circa 15 anni. Ricordo ancora come ieri quando ascoltai per la prima volta “Bohemian Rapsody”, e non so quante volte di fila da lì a poco, consumando il walkman e rimanendo letteralmente estasiato dalla bellezza di questo brano.

Nei mesi successivi mi innamorai di tutto il mondo Queen, ascoltando tutta la discografia, dai classici della seconda metà degli anni settanta fino all’ultima incisione più conosciuta “These are the days of our lives” nel cui videoclip si vede ed ascolta un Freddie magrissimo e sciupatissimo (era già nello stato terminale della malattia, l’allora ancora incurabile AIDS) che da lì a qualche giorno, esattamente il 24 novembre del 1991, se ne sarebbe andato via per sempre.

30 anni senza Freddie

Il 24 novembre 2021 ricorrono esattamente i 30 anni della morte di Freddie Mercury.

Un uomo che non è solo “il mio cantante preferito del mio gruppo preferito”, ma il cantante preferito del gruppo preferito di buona parte della mia generazione, quella nata a metà degli anni 70 quindi perfettamente allineata con i Queen dal punto di vista cronologico e culturale.

Ma per me Freddie non è (scrivo al presente perché da vero fan non è mai morto) solo un ottimo cantautore, il migliore, ma anche una grande persona ed alla luce dei miei studi professionali anche un ottimo esempio di personal branding.

Il personal branding di Freddie

Avendo ascoltato e studiato le sue canzoni, letto biografie, visto il film al lui ispirato di qualche anno fa, posso dire che Freddie, almeno per me e per i suoi fan, non è solo un personaggio famoso ma quel raro genere di persona che viene definita “personaggio” solo perché diventa popolare e non perché risultato di una qualche forma di finzione scenica. E che proprio da questa premessa può dirsi in linea con il più nobile ed efficace personal branding.

Insomma Freddie Mercury, come testimoniano d’altronde gli altri membri dei Queen che gli sono stati accanto per più di 20 anni, nella vita era esattamente quello che si vedeva sul palco: l’animale da palcoscenico dal passo felpato e dal microfono “in the air” capace di infiammare folle immense al ritmo di “Radio Gaga” o di “We will rock you” era lo stesso uomo eccentrico, folle e visionario con cui provavano in studio attraversando il Regno Unito in un pulmino sgangherato prima e mezzo mondo poi in un jet privato.

Un uomo vero, ma anche un uomo imperfetto e pieno di debolezze.

Forse ti chiederai se questo “lato oscuro” non faccia a botte col farne un buon esempio di personal branding, ed invece no:

Fare personal branding non significa rivelarsi totalmente o esaltare una ipotetica perfezione ma all’opposto esaltare l’autenticità coerentemente con ideali, missione, visione e scopo, oltre che agli obiettivi di business.

Fare personal branding riguarda anche mettere in pratica la capacità di trasformare le debolezze in opportunità di cui Freddie era un vero maestro: basti pensare alla sua stramba dentatura che, sebbene da milionario potesse correggere, trasformò in elemento differenziante della sua immagine e, addirittura, uno strumento funzionale, ovvero un modo per estendere ancor di più la sua già straordinaria estensione vocale.

Certamente, come accennato, parliamo di una vita e carriera anche problematica, caratterizzata da amori traditi e profonde delusioni che, pur parzialmente, non ebbe timore a mostrare anche a costo di risultare a volte criticato dai media ed ingestibile dalla band, staccandosi da questa per un periodo salvo poi tornarci insieme per trascorrere gli ultimi straordinari e forse più rappresentativi ultimi anni nei Queen.

Non sempre Freddie fu trasparente, intendiamoci, ma per tutelare la sua privacy. Ad esempio nascose la malattia fino all’ultimo per poi rivelarla, anche se non esplicitamente (anche se i media avevano lasciato ben intendere di quale malattia si trattasse) attraverso le ultime apparizioni pubbliche, in particolare il video di cui sopra.

Però va detto anche che continuò a comporre e ad incidere brani nuovi senza risparmiarsi in tempo e fatica fino alle ultime ore di vita. Basti pensare che l’ultimo brano di Freddie non è “These are the days of our life” come si potrebbe pensare ma “Mother Love”, un brano che non finì in tempo tant’è che nella parte finale la sua voce è sostituita dal chitarrista Brian May.

Ciò stante il personal branding di Freddie Mercury, al di là delle movenze e delle frasi da star, non era affatto costruito come si poteva pensare ma la naturale scoperta ed evoluzione della sua persona. Ed il suo “morire cantando” una grande prova di dedizione per il lavoro.

Un uomo autentico e memorabile

Freddie Mercury è una persona che malgrado non abbia mai avuto l’onore di conoscere (ma mi prenoto però già da ora, che la fila all’inferno sarà lunghissima!), è stata molto presente nella mia vita, molto più presente di persone che invece ho conosciuto in carne e ossa.

Questa cosa è incredibile: d’altronde i formatori di comunicazione quelli bravi, soprattutto quelli “very social” di oggi, dicono che comunicare è mettere in comune e che non esiste buona comunicazione se non si dà spazio anche ai messaggi della controparte.

Questa condizione sembrerebbe non rispettata nel caso di certi autori, artisti, ecc… le cui creazioni sono talmente “elevate”, intime e capaci di parlare al cuore delle persone da generare un’immedesimazione così totale che se li avessimo davanti in carne ed ossa pur potendo parlarci probabilmente rimarremmo in silenzio ad ascoltarli.

Ma attenzione: ad un occhio disattento i grandi artisti potrebbero sembrare indifferenti al pubblico quando in realtà è l’esatto contrario: gli artisti, soprattutto i più talentuosi come Freddie, sono in realtà totalmente in “ascolto del pubblico”, direi a livello viscerale, al punto da richiamare un ricordo profondo negli anni a venire, rendendoli memorabili o  addirittura vere e proprie leggende.

Che poi questa è la “prova provata” della veridicità della celebre frase della poetessa Maya Angelou, che non mi stancherò mai di ricordare perché è davvero potente e dovremmo SEMPRE tutti farne tesoro: “le persone dimenticano ciò che hai detto o fatto ma non come le hai fatte sentire”.

Parole che lasciano senza fiato come nel brano “You take my breath away”.

Devo molto a Freddie Mercury, quindi, per questo mi sento in dovere di ricordarlo a distanza di tre decenni dalla sua scomparsa.

In effetti per me, forse sembrerà una cosa esagerata ma è così, Freddie è come il fratello maggiore che non ho mai avuto ma che nonostante ciò è riuscito comunque ad insegnarmi ed ispirarmi tanto, aiutandomi a trasformarmi gradualmente dal ragazzo timido e insicuro ad un uomo con una consapevolezza e sicurezza che trent’anni fa mi sarei sognato e che mi ha portato dove sono oggi.

D’altronde la sua capacità di “dare” la dimostra la sua stessa vita, il suo saper reagire ai pregiudizi dati dal suo essere un immigrato dalla carnagione olivastra in un paese straniero e dal suo essere “bisessuale” in anni in cui questo tema era ancora un enorme tabù.

Il suo insegnamento è il suo “imparare a fregarsene”, il suo superare i cliché ed i pregiudizi rivelandosi in tal senso come vero precursore, probabilmente persino in anticipo sui tempi. Freddie sarebbe moderno, o forse persino “uomo del futuro”, anche oggi.

Ecco, tutte queste cose, oltre ad altri insegnamenti frutto di aneddoti che non basterebbe un film per raccontare (ed in effetti è così), sono l’esempio più lampante e vero del fatto che avere paura del giudizio è del tutto normale, ma che è solo superando la paura che si può essere autentici, per poi evolversi ed affermarsi.

Ovviamente lo dico perché sia da esempio e punto di riflessione che aiuti chi legge a trovare, qualora non sia ancora chiara, la propria identità.

D’altronde si parla tanto di brand identity, ma come si fa a costruirla davvero senza aver PRIMA chiara la personal identity?

Cosa insegna Freddie in termini di personal branding?

Quindi che ben venga con la scusa di questo articolo ricordare il “me stesso” dei primi anni 90 (che svelarsi davvero male non fa, anzi!) ma soprattutto ricordare la storia dell’altrettanto incerto Farrokh Bulsara degli esordi prima che questi facesse conoscenza con Farrokh Bulsara (esatto, con se stesso, e non con “Freddie Mercury” che, di fatto, è solo un nome d’arte). Tutto ciò, nonostante la connotazione fortemente artistica, ne fa un esempio di personal branding a cui ispirarsi.

Grazie a Freddie Mercury infatti ho rinforzato in me tre concetti che voglio condividere con te:

  1. Non esiste personal branding efficace senza conoscenza e consapevolezza della vera identità di ciascuno di noi, a prescindere da ciò che la circonda e da ciò che verrà (consiglio: proviamo a vivere il presente, ora e adesso, con lucidità, accogliendo la solitudine – anche in ascolto di  buona musica, perché no? – e la meditazione).
  2. Non esiste personal branding efficace senza comunicazione con noi stessi (consiglio: facciamoci delle domande chiave del tipo “chi sono?”, “cosa voglio?”, “perché lo voglio?” e rispondiamo nel modo più sincero possibile).
  3. Non esiste personal branding senza avere una visione sociale. Perché il vero obiettivo di una carriera, così come di una vita, non sia mai il guadagno ma “impattare positivamente sugli altri” (consiglio: pensiamo al nostro scopo – o “purpose” – partendo banalmente dalla domanda “cosa ci rende davvero felici?”).

Pertanto parliamo con noi stessi, rimanendo in solitudine in compagnia di buona musica e di buoni libri. Nutriamoci di bellezza e di bontà. Di persone positive che ci fanno stare bene. Solo dopo averci ascoltato bene ed ascoltato il mondo esterno esponiamoci. Sarà allora che la nostra autenticità potrà essere rivelata senza controindicazioni perché verrà creduta.

Insomma come Freddie, anche se come costato a lui costerà tanto tempo, dolore e fatica anche a noi, impariamo ad accettarci per quello che siamo e poi diamoci un obiettivo valoriale, possibilmente sociale ed umano. La sua visione era di dare speranza alla gente attraverso la musica, era il suo celebre “I don’t want to be a rock star, I want to be a legend” ma anche il suo “do what you love and the money will come”.

E come lui sognamo in grande ma senza accanirci: perché la visione sociale è la benzina più efficace di qualsiasi personal brand.

On Vision

God works in mysterious ways – Mysterious ways
Ah – Hey!
One man, one goal – Ha, one mission
One heart, one soul – Just one solution
One flash of light –Yeah, one god, one vision
One flesh, one bone, one true religion
One voice, one hope, one real decision
Whoa, whoa, whoa, whoa, whoa, whoa
Give me one vision, yeah
No wrong, no right
I’m gonna tell you there’s no black and no white
No blood, no stain – All we need is (one worldwide vision)
One flesh, one bone, one true religion
One race, one hope, one real decision
Whoa, whoa, whoa, whoa, whoa, whoa
Whoa-yeah, whoa-yeah, oh yeah!
I had a dream when I was young – A dream of sweet illusion
A glimpse of hope and unity – And visions of one sweet union
But a cold wind blows and a dark rain falls – And in my heart, it shows
Look what they’ve done to my dream, yeah!
One vision
So give me your hands, give me your hearts
I’m ready! There’s only one direction
One world and one nation
Yeah, one vision
No hate, no fight, just excitation – All through the night it’s a celebration
Whoa, whoa, whoa, whoa, whoa, whoa, yeah
One, one, one, one, one, one, one
One flesh, one bone, one true religion
One voice, one hope, one real decision
Give me one light, yeah – Give me one hope, hey
Just give me, ah
One man, one man – One bar, one night – One day, hey, hey
Just gimme, gimme, gimme, gimme fried chicken!
Vision, vision, vision, vision
Credits: Freddie Mercury / Brian May / John Deacon / Roger Taylor
Testo di One Vision © Sony/ATV Music Publishing LLC

Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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