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È ormai assodato che qualsiasi attività, sia essa nel commercio, nei servizi o nell’artigianato, per stare nel mercato debba produrre contenuti. Se il concetto non ti è ancora chiaro, sappi che “raccontarsi” è oggi il vero mantra della comunicazione.

Probabilmente lo stai già facendo, magari in modo improvvisato e raffazzonato, ma lo stai già facendo ad esempio quando usi i social per postare le offerte del tuo negozio. Che forse non si fila nessuno, va detto, e questo perché lo fai senza criterio, ma è pur sempre “raccontarsi”, è pur sempre “storytelling”: letteralmente l’attività di raccontare storie e in pratica l’attività di dire al mondo cosa facciamo e come lo facciamo.

Un buon storytelling di certo non è l’attività di postare foto di prodotti sulla nostra pagina Facebook senza una logica che imporrebbe invece di stuzzicare la curiosità dei nostri interlocutori proponendoci come risolutori di problemi o esauditori di desideri. Un buon storytelling è realizzato sulla base di una buona strategia, invece.

Ma in questo articolo non scriverò di questo aspetto. Scriverò invece di quando, seppur venga applicata una strategia di storytelling “virtuosa” (cioè in grado di raccontare al target quel che sappiamo fare e di inculcargli l’idea che potremmo farlo anche per loro), il “troppo storytelling” possa fare male al business.

È diffusissima l’idea, specialmente nel mio ambiente popolato da consulenti e formatori di marketing, ma anche in altri settori, che più storytelling si faccia, meglio è.

Ciò in verità è sbagliato. Vediamo il perché.

Non sei obbligato a stare su tutti i social

Iniziamo dai social, l’ambiente tipico su cui far “attecchire” il tuo storytelling. Il social network per eccellenza, Facebook, è ideale per comunicare con un pubblico generalista. Invece Linkedin per il business ed i decision maker aziendali. E poi c’è Twitter, per comunicare in modo più sobrio rispetto a Facebook. Potrei continuare, raccontandoti le peculiarità anche di Instagram, di Pinterest e di altri social meno famosi.

Tutto questo per farti capire che i social non sono tutti uguali, e questo perché le “tipologie” di persone che li usano non sono tutte uguali.

Dunque, se sei focalizzato su un determinato argomento, brand o prodotto, e quindi dovresti parlarne solo ad una determinata “tipologia” di persone, perché diavolo usi tutti, ma proprio tutti i social network? Avrai certamente notato che non avendo, nella maggior parte dei casi, il tempo ed il budget per gestire in modo diverso la comunicazione in ciascun social, adattando il tuo storytelling ad ogni differente tipologia di utenza, usare tanti social in massa diventa illogico e controproducente, o no?

È una cosa ovvia, di cui puoi renderti conto da solo anche senza analizzare, dati alla mano, il tuo engagement. Che se poi lo facessi ti renderesti conto che per pochi like in più non ne varebbe la pena!

Dunque, prendi una decisione ferma e scegli uno o due social al massimo per concentrati solo su di essi. Focalizza il tuo storytelling su pochi canali e guadagnerai tempo e risorse da reinvestire nella creazione di contenuti di maggiore qualità.

Non sei obbligato a raccontare tutto, ma proprio tutto

In questo post, il business law specialist svizzero Romain Pittet parla di “too much information” nello story telling. Traducendolo e riassumendolo, trovo interessante questo passaggio:

Hai deciso di raccontare lunghe storie, piene di dettagli, includendo cosa, quando, come e perché; fai attenzione perché in un contesto business il tuo racconto non deve solo intrattenere, ma anche giungere ad una conclusione. Se hai molta informazione a tua disposizione, prima di comunicarla sintetizzala altrimenti il tuo target sarà costretto ad uno sforzo eccessivo per dargli un senso. Ciò potrebbe fargli perdere attenzione e, alla lunga, potresti perderlo.

È proprio vero ciò che ha scritto. E mi permetto di aggiungere: sii geloso di una parte delle tue informazioni. L’obiettivo di un buon storytelling non è solo quello di creare un legame con il target, ma è anche quello di informare e formare, semplificando i concetti e divulgando conoscenza. Ma se sei un’azienda, e quindi hai uno scopo commerciale, non puoi regalare tutte le informazioni in tuo possesso, ma solo una buona parte per farti percepire sia competente che “detentore dei pezzi mancanti del puzzle”. In questo modo generi un bisogno che puoi esaudire nella fase successiva.

Inoltre non sei obbligato a raccontare tutto perché, se lo fai, ti stanchi, e rischi di generare anche contenuti di minore qualità.

Anche io, in passato, ho fatto questo errore. Quando l’anno scorso lanciai questo blog, iniziai con un ritmo di 3 articoli settimanali. Oggi il mio ritmo di scrittura è di un articolo settimanale. Ho meno engagement rispetto a prima? No, per nulla. Stando ai miei dati, il traffico al mio sito ha continuato ad aumentare e soprattutto ciò che conta, ovvero il tempo di permanenza sulle pagine (parametro che indica la qualità del traffico) è aumentato.

È un’ulteriore prova che dimostra che raccontarsi meno, ma meglio, ha degli effetti positivi sul business.

Non sei obbligato a fare (0 raccontare) tutto il tuo networking

Nel momento in cui scrivo è recentissimo il fallimento di Mosaicoon, un’importante azienda hi-tech con sede principale nella mia Sicilia e con diverse sedi in tutto il mondo. Molti, compreso il sottoscritto, si sono fortemente stupiti quando il CEO Ugo Parodi Giusino ha dichiarato “chiudiamo per colpa della concorrenza”.

Come? Un’azienda apparentemente solida, in costante ascesa, con più di 100 dipendenti dislocati su 2 continenti, capace di coinvolgere numerosi investitori e con grandi piani di espansione… chiude per fallimento?”.

Come sottolineato in questa interessante analisi, in effetti sembra che Mosaicoon sia stata oggetto degli effetti devastanti dell’over-storytelling: appunto, il troppo parlare di sé.

In effetti googolando escondo fuori centinaia di articoli che descrivono questa azienda con toni trionfalistici, anche in conseguenza di un’apposita strategia di storytelling attuata dall’azienda stessa che ha “pompato” la propria immagine. Forse troppo! Con ciò, è riuscita ad ottenere numerosi premi e riconoscimenti. Ma dovuti a cosa?

Sembra che lo storytelling di Mosaicoon unito al tanto networking fatto dal CEO e dai suoi dirigenti in giro per il mondo, e quindi conferenze, partecipazioni ad eventi, fiere, ecc… abbiano annebbiato la mente degli analisti, ed anche di loro stessi, al punto da perdere di vista la cosa che per un’azienda è la più importante: la contabilità!

Certo, resta il fatto che, a prescindere dal triste epilogo, Ugo Parodi Giusino resti un simbolo di innovazione e riscatto per la Sicilia. A lui va il merito di averci creduto e fatto nascere e crescere un’azienda dal calibro internazionale in terra di Mafia. Quindi giù il cappello a lui e al suo staff che sicuramente troverà ancora il modo di farsi valere. Il loro know-how non si disperderà di certo!

Tuttavia, perché sia un monito a non ripeterli, vanno messi in luce gli errori di questa azienda, in particolare quello di essere caduta nella trappola del “troppo storytelling”.

Ne traiamo un’insegnamento importante: raccontarsi troppo può, con o senza malizia, distogliere l’attenzione di tutti (ma certamente non di nuovi potenziali investitori), su numeri e dati: quelli che alla fine di tutto fanno pagare gli stipendi e fanno crescere davvero un’azienda. E non solo a parole.


Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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