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Ieri sui miei social ho postato le “dieci condizioni” che personalmente cerco di rispettare nel mio lavoro quando mi si presenta l’occasione di partecipare ad un progetto di web marketing. Per capirci, quando un cliente o un collaboratore mi propone di entrare a far parte di un team ad esempio per il lancio o rilancio di un brand, di un sito internet o l’esecuzione di una campagna social, verifico che ci siano i presupposti secondo una sorta di checklist.
Il post lo trovi su Facebook a questo link, il decalogo per comodità lo trovi comunque qui:
- Non è chiaro il budget del cliente.
- Non è chiaro l’obiettivo del cliente.
- Budget ed obiettivo non sono congrui.
- Il cliente non ha una mentalità d’impresa.
- Il cliente coinvolge amici e parenti perché gli costano poco.
- Un membro del team non è il direttore di marketing strategico.
- Il team non è fatto di gente competente.
- In cui i guadagni del team vengono prima dei risultati del brand.
- In cui i valori del brand non sono condivisi dal team.
- In cui (FONDAMENTALE!) non ci si diverte.
Molti miei colleghi, come si legge dai commenti al post, ci hanno scherzato su (giustamente, d’altronde ha una sottile vena ironica), altri mi hanno fatto i complimenti, altri l’hanno parzialmente criticato, indicandolo come impossibile da rispettare pena non lavorare o lavorare pochissimo, suggerendo che sarebbe preferibile trovare un compromesso.
Ovviamente sono d’accordo un po’ con tutti, sia con chi l’ha apprezzato, sia con chi ha sottolineato le criticità, anche perché il mio post non andava intesto alla lettera essendo anche un po’ provocatorio. Lo ribadisco anche qui (ci tengo soprattutto nei confronti di quei non addetti ai lavori che non avessero colto l’ironia): quel decalogo non è una vera checklist che passo in rassegna in modo scrupoloso quando sondo un progetto.
Infatti ad esempio se alla domanda “qual è il tuo obiettivo?” mi viene risposto “guadagnare di più” (e non è un vero obiettivo) non è che lo mando alla porta o clicco il pulsantone rosso della videochat ma lo porto a ragionare sul fatto che un obiettivo dovrebbe essere qualcosa di più concreto.
Nel marketing esistono d’altronde gli obiettivi S.M.A.R.T. (specifici, misurabili, raggiungibili, realistici e legati ad una scadenza) ed è compito del consulente di web marketing (che non può pretendere che il cliente sappia queste cose) spiegarne significato ed importanza. In questo modo il cliente può ragionandoci su e definire un obiettivo che sia un tantino meno banale del “fare cash”.
Un post provocatorio… che cela una verità
Mentre per i punti legati all’obiettivo, così come alcuni altri, applico il decalogo in modo elastico, su altri come quello legato al budget però sono rigido. E sì, in effetti non si è trattato solo di una provocazione, ma anche di una verità.
Nel caso del budget (punto 2), mi spiego meglio: lo so che chiedere al primo incontro a freddo quanti soldi si vogliono investire suona male. Tuttavia il cliente che si indigna o che si mette sulle difensive a quella domanda trasmette un segnale non proprio positivo.
Per esperienza penso che molti prendano quella domanda sul personale, come fosse una “curiosità morbosa” per svelare la disponibilità economica del soggetto, ma non è affatto così.
Non è che se chiedo ad un cliente “quanti soldi vuoi o puoi investire?” lo sto mettendo spalle al muro, eh?
Gli sto semplicemente chiedendo che percentuale del fatturato annuo pensa di investire nel progetto di web marketing. Esempio banale: fattura 50k l’anno? Un 10% per il marketing è il minimo. Ecco il budget annuale: 5k.
Se non esiste uno storico perché l’azienda è in costituzione, la questione è meno semplice ma neanche così complicata: il cliente dovrà definire i fondi a cui attingere in base ad altri fattori. Banalmente, se non ha o non può avere una linea di credito o non sta partecipando a bandi pubblici di finanziamento la domanda si traduce in “quanto dei tuoi risparmi personali vuoi o puoi investire nel progetto?”.
Questione di rispetto
In ogni caso conoscere il budget, così come, rifacendomi al mio “decalogo”, sapere che nel team ci sono persone skillate (punto 7), così come sapere che il brand ha valori che tutti condividono (punto 9) e che il team può contare su un direttore marketing strategico e non, ad esempio, di un grafico che si spacci per direttore marketing strategico (punto 6), è davvero importante perché consente da subito sia di capire se il progetto s’ha da fare, sia di portarsi avanti nell’attività di definizione e pianificazione del lavoro.
In effetti molte di quelle “condizioni” sono utili non solo al progetto ma al consulente stesso perché consente di capire subito se rischia di perdere tempo con un cliente non in linea o se ci sono chance di portarlo a casa per il beneficio non solo suo, ma di tutti.
Il consulente d’altronde non è tenuto a regalare consulenze a destra e a manca, dedicando (troppo) tempo agli altri senza un ritorno.
La categoria a cui appartengo (se non sei finito per caso sul blog saprai che sono un consulente di web marketing), sebbene non regolamentata da un ordine professionale, non è comunque un ordine… francescano che fa beneficienza ma una comunità di professionisti con un costo orario dunque, almeno in teoria, con una tariffa oraria da applicare.
Spesso avviene, perché di fatto è così, che il consulente di web marketing la prima “call conoscitiva” ad cliente la regali. Io sono tra questi. Ma a maggior ragione fare domande secche e precise che portino a capire se si sta parlando ad un pubblico in linea non solo è lecito ma proprio rispettoso del ruolo.
Anzi, rispettoso proprio di tutti, anche del cliente stesso.
Sempre parlando del budget personalmente, ad esempio, chiedo di inserirlo nel mio modulo di contatto qui sul mio sito. Si tratta di un campo che viene compilato raramente e così finisce che la domanda la faccio in call, sempre che la concordi. Insomma, presto o tardi… non ci scappa!
Quindi?
Concludendo, come ricordava qualcuno nei commenti al post, non essere troppo rigidi nell’applicare un decalogo del genere cercando di adattarsi alle singole situazioni è una cosa buona e giusta.
Tuttavia sottolineo, a scanso di equivoci, che le “regole di selezione della clientela” non sono un pretesto da da snob schizzinosi, anzi all’opposto avere “riferimenti chiari” (regole) secondo cui scegliere o meno i propri clienti e collaboratori, e comunicarli all’esterno, non solo è lecito ma anche utile.
Ed il motivo è che fa il gioco del marketing.
Nel mio caso ad esempio le persone con un “mindset d’impresa” (punto 4) che possano rispettare tutte e dieci le condizioni sono rare, ma esistono.
Ed anche le persone che comprendono l’importanza dell’essere trasparenti (parlare apertamente di obiettivi e soprattutto di budget lo rivela), che hanno un minimo di mentalità imprenditoriale, che non coinvolgono nei loro team gente raccomandata (leggasi “cugggini & friends”) ma preparata (e se lo sono poco, magari va bene uguale se c’è voglia di prepararsi) e che hanno valori da condividere con clienti e collaboratori (incluso il marketing team) riuscendo anche a ridere e divertirsi insieme, esistono.
E su una piazza nazionale non sono neanche poche. Altro che, battute simpatiche a parte, rimanere “disoccupati”!
Personalmente questo è il mio target. Io parlo a loro, mi rivolgo a loro. Sono loro le persone di cui voglio circondarmi. E non c’è nulla di male (anzi) nel farlo capire in modo esplicito nella comunicazione.
Fare bene marketing, d’altronde richiede di mirare ad un target ben definito. E se questo target è molto “di nicchia” (come il mio personal brand suggerisce di fare) che male c’è?
Pertanto se decidi anche tu di dettare le TUE regole, qualsiasi sia la tua professione o attività, perché non farlo? Anzi, se effettivamente miri ad un pubblico di nicchia in un mercato globale come me, dovresti farlo perché, ed è questo alla fine il senso del social post e di questo articolo, non si può fare bene marketing, in particolare personal branding, senza selezionare attraverso la comunicazione la clientela.
Quindi non temere di dettare le TUE regole e di applicarle, a seconda dei casi, un po’ con inflessibilità ed un po’ con elasticità.
Senza dimenticare mai, come da ultimo punto, di divertiti sempre!