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Facendo del Personal Branding il centro della mia attività di consulenza e formazione, mi capita a volte di sbattere contro un autentico muro di gomma.

Mi riferisco a tutta una serie di pregiudizi sbagliati proprio sul Personal Branding da parte di moltissimi potenziali ed attuali imprenditori che scelgono di boicottare questo possibile approccio di comunicazione dandosi letteralmente la zappa sui piedi.

In generale il peggior “pensiero limitante” sul concetto stesso di brand (a prescindere se di tipo aziendale o personale) è quello di considerare rigidamente il “branding” soltanto come una branca del marketing, e dal momento che molti di queste partite iva non raramente ignorano il significato stesso della parola “marketing”, traggono la conclusione sbagliatissima per cui “personal branding” significhi totalmente o in gran parte “vendere se stessi”.

L’ovvia conseguenza è che al solo sentir nominare “branding” o “personal branding” fuggono via inorriditi a gambe levate come se gli fosse stato proposto di prostituirsi sulla tangenziale di Milano.

Magari a te, imprenditore consapevole, probabilmente ciò suonerà assurdo, ma ti assicuro che specialmente qui al Sud dove trascorro maggior parte del mio tempo certi pensieri sono talmente radicati da portare tantissime persone a trascinare passivamente in avanti la propria attività, escludendo a priori la possibilità di rinnovarsi, per colpa di simili convinzioni.

Eppure il personal branding non ha nulla a che fare con la mercificazione, non è affatto una “prostituzione intellettuale” che vedrebbe chi lo applica negare i propri valori in nome di “Dio Denaro”. Il personal branding non è, e lo dirò senza giri di parole, un modo per alimentare il più becero consumismo.

Niente di tutto questo: quando si parla di personal branding si intende, anzi, l’esatto contrario!

In questo articolo elencherò quelli che sono per me i tre peggiori pregiudizi sul personal branding. Si tratta di un’analisi frutto della mia esperienza come consulente di personal branding e di studioso di temi che mi appassionano da sempre come comunicazione e marketing.

Pregiudizio 1: il personal branding serve a vendere se stessi

Gira da tempo questa “frase fatta” che vedrebbe il personal branding come “l’arte di vendere se stessi”.

Sebbene la vendita di prodotti e servizi sia una dei possibili obiettivi di marketing (in particolare quella che riguarda la fase di monetizzazione), quando parliamo di marketing e soprattutto di branding non intendiamo necessariamente quell’obiettivo.

Il branding, e nel nostro caso quello di tipo personale, riguarda piuttosto la messa in pratica di tutta una serie di azioni di comunicazione con lo scopo di generare un’idea ben precisa nella mente del pubblico. Fare branding significa comunicare una promessa che, se rispettata, fa in modo che il brand venga percepito in modo positivo in quanto “risolutorio” di uno specifico problema oppure perché tratta con competenza un particolare argomento.

Supponiamo tu fossi un meccanico e che decidessi di fare personal branding…

Potresti comunicare le tue abilità nella sostituzione di guarnizioni di motori a prescindere dall’eventuale procacciamento di clienti. In sostanza la tua attività di personal branding includerebbe un piano editoriale in cui scrivendo articoli o pubblicando video in cui spieghi o mostri le tue capacità pratiche di riparazione, ti mostreresti capace e preparato e quindi autorevole, instaurando queste idee positive nel brand, e questo a prescindere se lo monetizzerai o meno.

Ecco perché il branding NON riguarda affatto la vendita!

Certo, è indubbio che il branding la faciliti tantissimo (ed infatti in chiave marketing è consigliato agire in tal senso) perché “posizionando” una forte idea nella mente del tuo pubblico (brand positioning) ne porterai una parte a rivolgersi a te quando avranno bisogno di sostituire, pagandoti, una guarnizione del motore della loro auto.

Il branding nella sua natura è quindi una sorta di “validazione e valorizzazione sociale” che, passami il termine, è per certi versi di tipo “francescano” dal momento che riguarda, attraverso il content marketing, l’atto di fare del bene (valore) agli altri, e questo è fondamentale, SENZA PRETENDERE che questi altri lo ricambino.

Può sembrare “strano”, ad alcuni può persino non piacere, ma è palese: tutti noi abbiamo un brand, nessuno escluso, appiccicato addosso. Si tratta, in parte, della nostra reputazione. Appunto, per farla semplice, se non ti piace la parola “brand” chiamala pure “reputazione” (anche se non è esattamente la stessa cosa).

Si può dire che il personal brand, cioè la marca personale, sia un’etichetta che ci rappresenta nella società. E che agisce, “lavorando per noi”, non per forza in modo dipendente da fattori economici.

Capisci quindi perché quello che vedrebbe il personal branding come vendita, per giunta di se stessi come se riguardasse la mercificazione umana, è nient’altro che un pregiudizio che può danneggiarti? Infatti mantenere questo pensiero limitante ti esclude a priori dall’adottare questa strategia di business che, come ho ben spiegato, fondandosi su un’etica dagli obiettivi morali, prima ancora è una filosofia di vita.

Un pensiero del genere, credimi, è come il bloccasterzo di una macchina, magari bellissima e potentissima.

Forse sei una Ferrari che potrebbe rombare per le strade, ed invece sei chiuso in garage per un motivo del genere. E sarebbe assurdo, non trovi?

Concludendo il branding, e quindi anche il personal branding, è qualcosa di molto più nobile di ciò che si vorrebbe far credere proprio perché mezzo con cui possiamo renderci utili agli altri a prescindere dal guadagno che ne otterremo.

Conoscere ed applicare il personal branding ha uno scopo anche sociale perché può aiutarci ad aiutare meglio gli altri.

Pregiudizio 2: per fare Personal Branding bastano logo, biglietto da visita e sito web

Ho già scritto tante volte sia mio blog che all’inizio di questo articolo che un brand/personal brand è un’idea, una promessa, un concetto, un’etichetta che noi tutti ci portiamo addosso.

Eppure è molto diffusa l’opinione che per fare personal branding basti ingaggiare un bravo grafico che realizzi un bel logo, magari con un bel carattere “stiloso” per il proprio nome e cognome, con il pay-off (lo “slogan”), quella che dovrebbe essere la tua promessa di mercato che però spesso viene buttata lì un po’ a casaccio. E poi magari un bel mazzetto di biglietti da visita stampati su carta patinata, dalla grafica abbinata alla carta intestata. E se il budget lo consente, vada anche per il sito internet, che “oggi senza sito internet non si va da nessuna parte!”.

Ma la verità è che non bastano affatto quelle cose. Anzi, a dirla tutta, non è neanche detto che siano dovute in quanto ogni brand è una storia a sé, tant’è che persino il sito internet, diversamente da ciò che molti ancora credono, potrebbe non essere affatto dovuto (ma questa è una storia a parte!).

Il punto fondamentale da comprendere è che un brand è tale se e soltanto se si fonda su una strategia, che poi è la cosa più difficile, time-consuming ed “affamata di competenze” che esiste.

Forse non lo sai (anche perché l’agenzia web di turno che fa “preventivi copia e incolla” non te l’ha detto) che per sviluppare una strategia di branding possono volerci giorni, settimane o addirittura mesi di analisi endogene (della tua situazione interna) ed esogene (di mercato).

Per realizzare un vero personal brand bisogna entrare persino nel merito del “modello di business” in quanto oggi la comunicazione non è più slegata dal prodotto/servizio, ma è un tutt’uno con esso.

Perché il percorso corretto da seguire non è più PRIMA produrre un prodotto/servizio e POI venderlo, ma al contrario PRIMA scovare un pubblico con un problema o bisogno da soddisfare e POI costruire il prodotto/servizio che lo risolva (inglobando tutto questo in una strategia di marketing e comunicazione).

Ad esempio se sei un ingegnere edile che non si accontenta di acquisire progetti alla “vecchia maniera” ma preferisce guadagnare vendendo il tuo nuovo libro, il tuo personal brand dovrà tenere conto della natura editoriale della tua attività che potrà essere sfruttata nell’ottica di distinguerti nel mercato. Se quando hai scritto il libro non avrai tenuto conto del mercato, potrebbe essere persino necessario riscriverlo da capo se dalle analisi di mercato uscirà che non esiste un pubblico idoneo ad apprezzarlo e comprarlo!

Insomma… un brand è roba da marketer specializzati in branding, non da grafici, tipografi o smanettoni informatici!

Quindi, di cosa stiamo parlando?

Davvero credi che tu possa fregiarti di un brand solo perché hai fatto stampare ed attaccare degli adesivi col tuo nome sulla tua macchina?

La comunicazione è importante, intendiamoci. Tutto ciò che pubblichi sui social, il tuo sito web, ed anche il modo in cui ti vesti e parli nelle dirette Facebook (ad esempio) sono importanti. Ma ricorda che sono parte di un brand solo se rappresentano te ed i tuoi valori in modo coordinato ed indissolubile, esprimendo la tua unicità e mantenendo viva la tua promessa nella mente del tuo pubblico.

Logo, sito web, social, ecc… sono la parte visibile del tuo iceberg, ricordalo!

Ma l’essenza del tuo brand, e cioè l’unica cosa che che ti consente di creare un pubblico fedele e muoverti insieme ad esso verso il successo è solo e soltanto la parte non visibile e sommersa di quell’iceberg: la parte, non a caso, enormemente più grande e che richiede più risorse per essere sviluppata.

Pregiudizio 3: per fare Personal Branding ci vogliono tanti soldi

Ed ecco il terzo più diffuso pregiudizio secondo cui per pianificare e lanciare un brand ci vogliono budget da far impallidire i finanziamenti della NASA.

Probabilmente, anche in virtù del punto precedente, penserai che è così, ma in realtà non lo è affatto!

Malgrado non pochi “consulenti” o “agenti pubblicitari” ti dicano il contrario per evidenti interessi (provo ad indovinare: “farti firmare il prima possibile un sontuoso contratto?”), un personal brand può essere realizzato persino gratis. Sì, hai capito bene: senza spendere neanche un euro.

Ora però non fraintendermi. Non ti sto dicendo che non dovrai mai e poi mai investire! Quando parlo di gratis mi riferisco alla prima fase di startup, ma ricorda che se e quando ci saranno le condizioni non potrai fare a meno di investire (anche se, a seconda del settore, potresti anche spendere poco).

Un altro motivo per cui non devi fraintendermi è un altro, ed è forse il più importante. Eccolo…

Puoi lanciare il tuo personal brand gratis (o quasi) solo se hai competenze di branding.

A dirtela tutta non bastano solo le competenze, ci vorrebbe anche l’esperienza di chi con i brand ci lavora da anni.

Tuttavia non sono rari i casi di personal brand che attecchiscono bene malgrado gli scarsi o nulli investimenti grazie al fatto che chi li porta avanti si è preso la briga di studiare, e non poco, marketing e branding (anche in modalità fai da te, una laurea è utile ma affatto non indispensabile!), sperimentando in particolare i social network, il luogo virtuale in assoluto più importante in cui, facendo “social selling”, è possibile ottenere visibilità, promuoversi e far veicolare nella mente del pubblico il proprio messaggio di branding.

Un’attività possibile anche in modalità “free”.

Non a caso un numero considerevole di “influencer” ha raggiunto il successo senza sforzi economici, semplicemente creando contenuti mirati sui social: pensa agli youtuber famosi. La loro forza è stata applicarsi costantemente, migliorandosi pedissequamente, mettendo la faccia in video o in foto. All’inizio in rari casi hanno investito, di solito hanno fatto tutto in low-cost, registrandosi col cellulare dalle loro camerette. Poi man mano, con l’aumentare dei follower, hanno creato le loro community, scalando il loro business, investendo e reinvestendo in corsi di formazione, attrezzatura, campagne ads, ecc..

E pensare che molti di questi ci sono riusciti senza neanche avere un sito internet, figuriamoci gli ormai angusti biglietti da visita!

Insomma, se hai voglia, tempo e pazienza di studiare ed applicarti (tanto però!), un personal brand lo puoi lanciare bene tranquillamente anche senza una laurea in marketing e senza rivolgerti ad un consulente che ti aiuti.

Ricorda però che in questo scenario il fattore tempo è cruciale. Scegli questa opzione, quindi, solo se puoi permetterti di investire nella tua formazione per anni (leggere i blog degli esperti e libri gratuiti/economici è una buona strada da seguire se non hai particolari fondi).

Altro discorso se sei un imprenditore: in tal caso sei praticamente obbligato a rivolgerti ad un consulente.

Dopotutto un consulente di web marketing, nella fattispecie di personal branding come me, può esserti utile non tanto in termini di competenza ma soprattutto perché può farti risparmiare tanto, tantissimo tempo, accelerando quel percorso.


Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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