(Tempo di lettura 4 minuti)
Giorni fa un amico un po’ burlone, commentando una mia storia Facebook, mi fa “Leo, ti stai adeguando alla Meloni per caso”?
Nella storia in effetti c’era una mia foto a testa in giù con l’intento di rendere la mia grafica un po’ meno banale e cercare, in un mondo social in cui vista la “concorrenza” non è affatto semplice, di richiamare un po’ d’attenzione. Tra l’altro questa cosa della foto capovolta richiama il mio stile (che se mi conosci un pochetto sai già essere un po’ pazzerello) che cela l’invito a non prendersi troppo sul serio.
Ovviamente gli ho risposto con una grassa risata scrivendogli “mi chiamo Cascio, non Fascio!” (credo che spiegare le nostre battute, se conosci un po’ la storia del Novecento e segui le notizie, sia superfluo).
Forse ora mi chiederai perché ho deciso di rendere pubblica quella risposta, quindi anche il suo significato, con questo post.
Forse mi dirai “Leo, scusa, ma questa informazione, il fatto cioè che ti dichiari antifascista, cosa c’entra con questo blog? Cosa c’entra col tuo personal branding?”.
La spiegazione è che credo che fare personal branding non debba mai consistere nel mostrarci diversi da ciò che siamo anzi all’opposto in modo autentico.
Così come credo che anche il nostro “credo politico” (una cosa che si lega ai “valori” che gli esperti di content marketing ci ricordano sempre di raccontare) non debba essere nascosto ma mostrato.
E la regola “non si parla di politica”?
Nonostante viga una “regola non scritta” nel personal branding che indica la politica come argomento tabù (anni fa ci scrissi pure questo articolo in cui già allora facevo notare quanto quella regola fosse opinabile), io credo invece che possa essere violata se si fa attenzione al MODO in cui si fa.
Credo infatti che dichiarare il proprio modo di pensare liberista piuttosto che conservatore sia un atto di onestà e trasparenza nei confronti delle persone ed un modo per aiutarle a scegliere.
D’altronde non siamo ipocriti: tra un professionista che ha idee politiche simili alle tue ed uno che le ha opposte, chi considereresti di più già nelle prime fasi di conoscenza?
Sto parlando proprio di “primo contatto sul lavoro”: sapere che un potenziale cliente, fornitore, collega o partner ha idee politiche simili alle tue, te lo rende più vicino e dunque preferibile.
E questo è fuor di dubbio, d’altronde lo dice la sociologia e la psicologia stessa per il modo in cui le persone si “aggregano in gruppi” nella società: le persone stanno insieme perché credono nelle stesse cose.
Attenzione, non ho detto che devono essere uguali (anzi, la diversità è sempre un bene!) ma che devono avere uno scopo ed una visione (anche politica) simile per poter andare davvero d’accordo.
Il mio “credo” politico
Ora se lo vuoi sapere (ma forse lo hai già intuito) io mi reputo una persona con ideali di sinistra e come ho spiegato reputo trasparente dirtelo qui. Ecco, te l’ho detto.
Tuttavia voglio precisare una cosa importante: non ho problemi a dialogare con chi ha idee diverse dalle mie, quindi con chi pensa “di destra” (ideologia che, da persona moderata, ingloba valori che comunque in piccola parte condivido) purché questo dialogo si faccia in modo civile e democratico.
Certo, sono cosciente che è più difficile costruire qualcosa, ad esempio un progetto comune, con chi ha idee politiche opposte, ma non significa che non si possa comunque convivere e, sul lavoro, anche collaborare.
D’altronde in più di 20 anni d’attività raramente ho avuto problemi a “servire” clienti con idee diverse dalle mie (escludendo i casi estremi, ovviamente). Certo, non parliamo di progetti importanti, ma credo si possa comunque lavorare insieme se c’è rispetto reciproco senza “fascismi” di alcun tipo. Se c’è un regime civile e democratico niente di “grave”.
No all’estremismo
E qui arriviamo al fascismo: il punto è che chi è di destra (ma anche di sinistra) estrema, non è nè civile, nè democratico. In tal caso farebbe bene a starmi alla larga.
Infatti sarebbe del tutto inutile: non ci sarebbe chance di dialogo tra un democratico e un antidemocratico perché chi è estremista è intollerante e come tale, a mio modo di vedere (in accordo con quanto scriveva Karl Popper nel suo “paradosso dell’intolleranza“), non si può essere tolleranti con gli intolleranti.
Anzi, per la precisione, Popper sosteneva che si DEVE essere intolleranti con gli intolleranti proprio per salvaguardare l’esistenza della società tollerante, cioè fondata su civiltà e democrazia. Ed io sono d’accordo con lui.
Non è un discorso divisivo
Faccio questo discorso anche in difesa del concetto stesso di comunicazione (da “communico”, mettere in comune).
Non è un discorso divisivo (metto le mani avanti, ché ci sarà chi penserà che sia un discorso addirittura fascista, a questo suggerisco di studiarsi Popper che ho citato poco fa!).
Lo faccio anche per sostenere come “addetto alla comunicazione il valore di “comunicare” che è, di natura, esso stesso un atto antifascista, oltre che sancito dalla Costituzione.
Ecco, credo che sia doveroso praticare, e se occorre anche rivendicare questa cosa, anche in un contesto di personal branding.
Che ne pensi?
Se non sei fascista (leggi bene: non ho scritto “se sei d’accordo con me”) mi farebbe molto piacere confrontarmi con te.
Ribadisco ancora: mi sta benissimo confrontarmi anche con chi ha idee diverse dalle mie, mi va bene confrontarmi con tutti, anche con chi ragiona “a destra”. Basta che non sia fascista, senza atteggiamenti presuntuosi di chi confonde le proprie opinioni con la verità, soprattutto se parliamo di verità scientifica, e vuole imporre questa verità agli altri. Diversamente ciaone!