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Ieri mi sono un po’ girate perché per l’ennesima volta un “contatto da passaparola” si è scontrato con il mio piano marketing. Sì, perché il passaparola, che molti imprenditori ancora definiscono come “la migliore pubblicità” (vero, ma con molte dovute eccezioni!), spesso e volentieri cozza proprio con una realtà diversa.

I motivi del mio disappunto li spiegherò in questo post, e alla fine della lettura ti sentirai più consapevole nell’affrontare il cosiddetto “passaparola cattivo”.

Ma intanto… cos’è un piano marketing?

Un breve ripasso per chi lo sa già: non è che la strategia di un’azienda. In sostanza una serie di “capisaldi”, che senza andare troppo nel dettaglio includono un sommario esecutivo, la mission, gli obiettivi, analisi, azioni, ecc… che rappresentano in modo più o meno dettagliato come si comporta un’azienda nel mercato.

Ad esempio il mio piano marketing è pianificato per fornire servizi di valore per gli imprenditori che desiderano fare marketing e comunicazione: questi paroloni vogliono dire che quando preparo un preventivo tengo conto, oltre che ovviamente dei miei costi, anche del valore aggiunto in termini di qualità che fornirò ai miei clienti. Quindi nel mio piano marketing il “prezzo” è un valore secondario, in quanto ciò che il mio cliente-tipo paga per ottenere in cambio dei servizi è commisurato ai risultati che otterrà.

Per questo motivo sulle pagine di questo blog ho sempre criticato la tipica domanda dell’imprenditore “quanto costa un sito web?” (o qualsiasi altro servizio complesso) rispondendo che è una domanda senza senso, perché non si tratta di “costo” ma di “investimento”. La domanda corretta da fare dovrebbe semmai essere “con il mio budget, dove puoi portarmi?”, domanda che ha un senso tanto più se insieme vengano anche spiegati gli obiettivi.

Ecco, e fin qui ci siamo.

Ora la cosa veramente importante da capire è che per far sì che tutto ciò abbia una logica è che il piano marketing venga comunicato nel modo migliore possibile.

Per quel che mi riguarda questo ovviamente viene fatto su queste pagine, ma ovviamente non solo. Fondamentalmente il mio cliente-tipo è quello che legge il mio blog, comprende come mi pongo e, se lo apprezza e vuole “farlo suo” per il suo business, mi contatta. Lui sa già, avendo fruito i miei contenuti, come lavoro, e quindi senza avermi ancora parlato un po’ già mi conosce!

Ne consegue che sarà più semplice per lui, essendosi già informato sul mio conto, chiedermi ciò di cui ha bisogno per far crescere il suo business andando magari dritto al sodo. E ciò si tradurrà, com’è ovvio, anche in semplicità per me, perché non dovrò ripetere le cose che ha già letto che riguardano il sottoscritto o i miei servizi. Insomma, sarebbe il rapporto professionale potenzialmente perfetto. Di fatto, lo è.

Che succede invece se un “contatto da passaparola” viene a bussare alla tua porta?

Ecco, normalmente vanno distinti due casi.

Caso 1: il contatto non sa nulla, o quasi nulla, di te

È il caso più tremendo.

Capita certe volte che arrivino potenziali clienti estranei alla “comunicazione da piano marketing” che parlando con un amico o contatto comune vengano a sapere di te. Il contatto comune, spesso e volentieri, specialmente se si tratta di un’amico (quindi non di un professionista ma di qualcuno che ha solo una vaga idea di cosa fai nella vita per campare) generalizza la questione ad esempio in questo modo:

“Hai bisogno di far stampare dei volantini? Un mio amico lo fa, ecco il suo numero di telefono!”.

Questo è ciò che in effetti è successo a me (ed ecco perché mi sono girate).  Ma lascia che ti racconti l’aneddoto per come l’ho condiviso sulla mia bacheca Facebook.

Credo che non serva aggiungere altro, se non che, come ho commentato nel post in questione, il sottoscritto non ha una tipografia ma effettua un servizio di reselling di servizi tipografici (per la cronaca tramite il sito OnlineDruck.it). Con ciò voglio ribadire che non mi interessa essere il più economico, ed infatti quando qualcuno mi propone di combattere la guerra del prezzo scappo a gambe levate.

La situazione che si innesca però è imbarazzante: visto che la “richiesta indecente” viene da una conoscenza o un’amicizia in comune, diventa anche difficile gestire la situazione senza sembrare antipatici. E questo vale anche se il tizio in questione, come capitatomi, pur di strappare uno sconto, col dubbio pure che bluffi, ha pure la faccia tosta di chiedermi di “livellarmi” al prezzo della concorrenza. Come se si trattasse di mercanteggiare il prezzo di un tappeto al mercatino del martedì.

Sì, ma di chi è la colpa?

Dell’amico che ha innescato il passa-parola? Direi proprio di no. Anzi vuole farti un piacere convinto che gradirai (ed in effetti almeno il pensiero è gradito).

E allora… è dell’imprenditore? Ecco, ovviamente nel caso in questione che mi riguarda, temo di sì.

Gran parte della colpa è sua, perché dimostra di mancare totalmente di mentalità imprenditoriale (il concetto è spiegato bene nel post). E poi, se sta contattando un amico comune, provare a fidarsi, lasciando perdere il prezzo, no? Capisco che molti abbiano le “classiche pezze al culo” (scusando l’espressione colorita) ma è da tirchi confondersi per una piccola spesa in più quando hai però in cambio un servizio sicuramente migliore. Se l’imprenditore non capisce questo concetto base, ha finito prima ancora di iniziare a lavorare. Caput, morto! Amen!

Ma lo ammetto, la colpa è forse pure mia, e quindi, se ti trovi in una situazione analoga, anche un po’ tua.

Nel caso infatti tu abbia un piano marketing “di valore” ma lotti ogni giorno contro te stesso perché ricevi “potenziali clienti da passaparola” affamati di sconti che però non puoi cacciare perché rischieresti di inclinare dei rapporti, sappi che la colpa è anche tua.

Il motivo è perché non hai detto ai tuoi amici che lavori in una certa maniera: in sostanza non hai comunicato bene anche con loro.

Se sei in questa situazione la verità è che sicuramente in passato li hai un po’ viziati, gli hai fatto degli omaggi e dei prezzi bassi pur di tenerteli buoni. Oppure hai comunicato coerentemente con il tuo piano marketing di allora, che però era diverso da quello attuale (questo è decisamente quel che è accaduto a me!).

Forse andrebbe spiegato a questi “amici” che sfuggono al tuo ottimizzatissimo funnel di marketing, come funziona il tuo (nuovo) marketing plan. Perché se da un giorno all’altro decidi di vendere solo Mercedes dai 100k in su ma i tuoi amici ti conoscono ancora come “concessionario di utilitarie” qualche imbarazzo lo rischi!

Caso 2: il contatto sa molto di te

Un potenziale cliente “girato” da un passaparola è già prezioso, perché la fiducia risposta dal contatto comune viene, come regola generale sempre valida del fare pubbliche relazioni, “trasposta”. Se insomma Tizio parla a Caio bene di Sempronio, è probabile che quando Caio parlerà con Sempronio lo vedrà un po’ come se fosse il suo amico Tizio.

Se poi questo “parlare” non è banalizzato (come nell’esempio negativo precedente) ma è articolato, mettendo in luce le caratteristiche e i vantaggi VERI di contattare la persona in comune, allora il passaparola in questo caso è “passaparola buono”, anzi di più: è un passaparola di una potenza disarmante, capace di innescare forniture e collaborazioni solidissime e durature.

È il caso virtuoso in cui, come contraltare al caso 1, la comunicazione che fai della tua attività è efficace non solo nel contesto del tuo piano marketing, ma anche quando sei al pub con le persone che frequenti fuori dal contesto lavorativo. Non è impresa facile rendere leggeri certi discorsi, ma avendo ben chiare le differenze tra passaparola cattivo e buono, riuscirci può diventare per te una fondamentale leva per il business.

Conclusioni

Il passaparola è da millenni un potentissimo mezzo di comunicazione. Lo stesso social-marketing nasce dal concetto stesso di passaparola trasporto nell’era digitale. Ma per quanto potente, non si tratta di vero marketing.

Il web-marketing è infatti misurabile e controllabile, mentre il passaparola tradizionale no.

Questo articolo non fornisce, infatti, soluzioni che consentano di controllarlo, ma se non altro di esserne coscienti.

In particolare l’ovvia conclusione non può che essere che il marketing negativo non è soltanto quello che alla lunga costringe un’azienda alla chiusura perché il ristorante di turno continua a sfornare piatti indecenti e la gente mormora, ma è anche quello fatto con l’intento positivo di collaborare ed aiutare, di fornire soluzioni ad un amico o conoscente. Ma che se non ha solide base di conoscenza, e quindi di chiara comunicazione, anche se difficilmente può essere letale, può fare altrettanto male.


Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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