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Quando la comunicazione era appannaggio solo dei media tradizionali e la pubblicità era l’unico modo per farsi conoscere, a nessun imprenditore sarebbe passato per l’anticamera del cervello di esporsi in prima persona. E questo perché non ne aveva bisogno: le aziende traevano vantaggio dal delegare a terzi la promozione dei propri prodotti e servizi.

Contattava un’agenzia creativa dicendo “hey, voglio che facciate conoscere al grande pubblico le mie merendine”. E quella confezionava, a seguito di uno studio neanche troppo elaborato, uno spot in tv o in radio, oppure una serie di grafiche per la carta stampata, magari con il “quadretto familiare felice” che si sveglia la mattina senza musi lunghi perché il pensiero fisso non è più il capo ufficio stalker o la maestra petulante, ma inaugurare la giornata con una buona merendina.

Erano gli anni felici (per i vecchi media, ed indirettamente per le aziende che vi si affidavano) della “comunicazione push”, ovvero spinta in modo unidirezionale e senza appello dal produttore al consumatore.

Oggi viviamo anni diametralmente opposti: grazie ad internet tutti noi siamo diventati “produttori”, oltre che consumatori. E non mi riferisco soltanto a prodotti o servizi (anche un singolo individuo è in grado di produrli), ma anche ai contenuti che possono contribuire, in un modo o nell’altro, alla loro vendita.

Per questo motivo il semplice “delegare” la comunicazione, ed il marketing, ad un consulente o ad un’agenzia esterna alla propria azienda non funziona più. Oggi la comunicazione, per funzionare, deve nascere all’interno, e non più all’esterno della propria attività.

Ecco spiegato perché l’imprenditore è “obbligato” a metterci la faccia.

Perché, volendo essere ancora più esaustivo, deve “farsi portavoce in prima persona della comunicazione aziendale”!

Il consulente in questo contesto è una figura cruciale perché conoscendo nel dettaglio le dinamiche del marketing, lo guiderà ed aiuterà in questo processo. Ma ribadisco: il processo dovrà coinvolgere in primis l’imprenditore che, prima ancora di essere creatore di servizi o prodotti, deve essere il primo e più importante creatore di contenuti della sua azienda.

Cosa succede se non lo fa?

Non sarò catastrofista dicendo che, se non lo fa, fallirà entro un mese. In verità l’imprenditore che non si cura (ancora) della creazione di contenuti non commette, ad oggi, nulla di così grave.

Infatti, sebbene la comunicazione odierna sia molto diversa rispetto a quella dei rampanti anni ’80 che ho descritto all’inizio, ancora oggi l’imprenditore può permettersi il lusso di delegare la comunicazione a condizione però che ci sia un consulente o un’agenzia in grado di carpire la filosofia aziendale interpretandola in modo da realizzarne un buon posizionamento nel mercato.

In linguaggio più semplice, cioè, potrà tranquillamente sviluppare un brand se la qualità, il valore e l’unicità della sua offerta sarà tale da poter realizzare una comunicazione trasparente ed efficace.

Brand famosi come Coca Cola, Ferrari, Google, Facebook, Microsoft, Amazon, Mc Donald’s, solo per citarne alcuni, infatti non hanno di certo bisogno per vendere che i loro CEO si espongano personalmente. E probabilmente questo avverrà anche in futuro.

Ma per chi guida un’azienda piccola o di medie dimensioni, nel prossimo futuro non sarà così.

Questa dovrà sopperire ad una posizione molto meno dominante rispetto alle aziende di quel calibro, che le costringerà ad aggiungere alla loro “ricetta” un importante ingrediente: la personalità dei loro leader unita alla capacità di fare storytelling in modo genuino.

Per questo il Personal Branding, argomento di cui sono specializzato e che cito spesso nel mio blog (ad esempio qui) sembra in effetti la chiave per emergere in questo mercato saturo di offerte spesso molto simili tra loro.

Ma attenzione: non basta farlo mettendoci solo la faccia, ma occorre seguirne le regole. Queste solo dopo molto tempo potranno essere parzialmente interpretate, ma almeno all’inizio del percorso dovranno essere seguite in modo scrupoloso. Sto parlando anche delle regole del corretto storytelling.

La realtà dei fatti… in Italia

Avendo a che fare spesso con imprenditori, ho una visione abbastanza chiara del come stiano recependo questa straordinaria opportunità di produrre e veicolare contenuti in proprio realizzando contestualmente un processo di brand personale. Me ne accorgo agli eventi business a cui spesso partecipo, ma anche scorrendo i newsfeed dei social o usando Google: vedo con piacere che sono già diversi i casi di piccoli e medi imprenditori che stanno “raccontando” la loro vita professionale per accrescere la credibilità e l’empatia nei confronti del proprio pubblico, e quindi potenziale cliente.

Ma non basta.

La percezione positiva è mascherata dal fatto che i social ed i motori di ricerca, così come gli eventi d’affari, sono solo un minuscolo spaccato del reale scenario nazionale. Chi è ancora (solo a suo dire) “vittima della crisi” dovrebbe interessarsene vedendola come un’ancora di salvezza per liberarsi dalle sabbie in cui è impantanato, ma non lo fa. Ma anche aziende in positivo, come ho personalmente riscontrato, hanno leader bravi, preparati, svegli, capaci… ma… rimangono ancora fortemente restii all’idea di esporsi e raccontarsi in prima persona.

Ed è un vero peccato, perché potrebbero crescere. E tanto.

Perché l’imprenditore non vuole metterci la faccia?

Una scusa che spesso sento dire all’imprenditore a cui spiego i vantaggi di fare personal branding e “auto-generated content” in ambito aziendale è la mancanza di tempo.

Comprendo benissimo la difficoltà nell’avviare un percorso del genere, ci sono passato anche io, e non è stato facile. Durante la giornata le incombenze sono tante, e si da naturalmente priorità alle cose che portano a casa il pane nel tempo più breve possibile. Tutto ciò che è “ricerca”, ovvero che invece porterà risultati a lungo termine, viene relegato per ultimo, ovvero… traducendo… “non si farà mai!”.

Altra scusa che spesso sento dire per giustificare il proprio “immobilismo” è il timore di sbagliare. Si è spesso timidi, si ha paura di non essere adeguati, di non sapere scrivere, di non sapere comunicare, di non saper parlare in pubblico o davanti un microfono o una telecamera.

Quindi come può riuscirci? E tu?

Se sei tra questi imprenditori che parlano sempre di mancanza di tempo e coraggio, caro amico… ti capisco, non è che io sia Lembo-Kid e sia infallibile, eee? E non è che le mie giornate durino 72 ore? Però per favore ora leggi questo ragionamento e dimmi se fa una grinza:

Il falso problema della paura:

Se hai scelto di fare l’imprenditore hai fatto una scelta chiara e semplice, che è quella di NON AVERE PAURA. Mai! Anche io l’ho fatta questa scelta, nel 2002, e certe volte me ne sono anche quasi pentito, perché le cose non giravano come volevo e all’inizio, non conoscendo ancora il marketing, non sapevo come fare a trovare clienti e a farmi pagare.

Ma poi sono cresciuto, ho studiato, mi sono aggiornato, ho fatto un percorso di crescita e consapevolezza, ed oggi sono qua, con la mia faccia su un blog che non ti nascondo, in poco più di un anno, per me è diventato una fonte continua di autorevolezza e di clienti. E tutto questo grazie al mio percorso di personal branding!

E pensare che quando ero piccolo mi sentivo pure “bullizzato” ed ero pieno di complessi. Quindi se alla fine a superare la paura di esporsi c’è riuscito un pirla come me, perché non dovresti riuscirci tu? Che poi, a dirla tutta, anche fare errori è importante: dovresti proprio! Se ti suona strano leggi anche questo post.

Il falso problema del tempo:

Come si sconfigge la mancanza di tempo? Con l’organizzazione… ma anche con un gesto di volontà estrema, perché la verità è che occorre iniziare, sforzandosi di farlo! Punto!

La frase “volere è potere”, sebbene banale e vecchia come il cucco, è palesemente vera ed andrebbe seguita di default, non ti pare?

Sì, perché “una volta che si inizia non si smette più”: ecco cosa rispondo a chi si giustifica dando la colpa alla mancanza di tempo! Il tempo si trova.

Inizia una sana abitudine, come quella ad esempio di scrivere un post in cui racconti sui social, senza auto-celebrarti, cosa ha fatto di buono la tua azienda per i clienti. Puoi farne uno alla settimana, o al mese, se proprio non riesci: una volta che l’avrai avviata ti assicuro che non smetterai di praticarla, anzi ne aumenterai la cadenza! Ma ricorda: sì naturale ed amichevole, non vantarti e parla dei problemi che hai risolto.

Sul problema del tempo aggiungerei anche che un imprenditore dovrebbe imparare a procurarselo, prima di tutto evitando di venderlo in cambio di denaro. Cosa intendo? Che delegando i compiti di minore responsabilità a terzi e concentrandoti sulle attività di valore riuscirai ad avere tantissimo tempo libero che, oltre ai tuoi hobby e alla tua famiglia, dovrai/potrai dedicare alla tua strategia, e quindi anche alla comunicazione personale della tua azienda. Se può interessarti questo argomento ti consiglio la lettura anche di Cinque consigli per diventare (o tornare ad essere) imprenditore libero.

Conclusioni

Dunque perché privarti di un’opportunità così ghiotta come quella del Personal Branding? Oggi, come scrivevo, puoi ancora delegare tutto ad una buona agenzia, ma ancora non per molto. Faresti quindi bene a pensarci in tempo… e valutare un “adattamento” aziendale di quel tipo: un vero e proprio cambiamento che, per essere realmente eseguito, deve necessariamente partire da TE!

Non a caso un famoso spot recita così: “nasci, cresci, corri”. Ecco… per correre devi passare per forza dalla seconda fase: non devi accontentarti della tua “statura” e continuare a crescere!


Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
Che ne pensi del mio articolo? La tua comunicazione aziendale o personale ha bisogno di una mano? CONTATTAMI ORA! :)