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Espressioni come “personal brand” e “personal branding” vengono associate alla realtà imprenditoriale poiché è diffusa la convinzione che rappresentino una condotta da seguire per raggiungere obiettivi solo economici.

In verità non è così.

La verità è che noi tutti, ma proprio tutti, a prescindere dall’uso che ne facciamo abbiamo marchiata a fuoco una “marca personale” che non è altro che la nostra reputazione nella società, ovvero non soltanto quello che siamo, ma anche ciò che trasmettiamo all’esterno.

Ed in effetti non è un caso che la parola inglese “brand” significhi proprio “marchio a fuoco”, così come non è un caso la validità dell’assioma della comunicazione “è impossibile non comunicare”. Questo a dimostrazione che anche chi rimane perfettamente immobile, suo malgrado, fa personal branding.

Dunque “fare personal branding” è qualcosa che dovremmo imparare a fare bene ed in ogni caso, comprendendo che non solo ciò che facciamo, ma anche il modo in cui veniamo percepiti dagli altri ha sempre delle conseguenze sulla nostra vita. Ciò vale anche se non siamo imprenditori, ma siamo ad esempio dipendenti pubblici o privati, disoccupati, pensionati, senza alcuna distinzione di genere, età o occupazione.

Una vittima, 2 assassini e tanto odio gratuito

L’idea di scrivere di personal branding fuori dal contesto aziendale mi è venuta dopo aver assistito ad un grave fatto di cronaca avvenuto a Marsala, la città dove trascorro la maggior parte del tempo.

Di recente una giovanissima è stata brutalmente assassinata da due amici, quasi suoi coetanei, destando un enorme sdegno e rabbia dei miei concittadini nei loro confronti.

Sulle bacheche Facebook dei due assassini, una donna ed un uomo, migliaia di marsalesi hanno scritto i peggiori insulti possibili: lei apostrofata come prostituta, lui come tossico, entrambi chiamati come minimo “belve feroci”. Un fiume continuo di insulti, parolacce, inviti a farsi ammazzare in carcere o minacce di farlo loro stessi, i marsalesi, semmai le autorità li avessero lasciati alla mercé popolare. Un lunghissimo feed di commenti dalle emoticon arrabbiate, sfociate specialmente nelle ore successive al massacro nell’invocazione della legge del taglione, in una violenta negazione della giustizia ufficiale che, a detta di molti, sarà incapace di punire come si deve i colpevoli.

Certo, la rabbia per un assassinio che ha letteralmente sconvolto la comunità in cui vivo, è stata tanta, ed è ancora tanta.

Come ho reagito (e dovresti reagire anche tu)

Io stesso a caldo ammetto di aver avuto voglia di cliccare le loro bacheche e fare altrettanto, ma mi sono fermato. Perché non l’ho fatto? Perché non ho ceduto alla voglia di vendicarmi, sfogando la mia giustificabile rabbia?

La risposta che mi sono dato è il focus di questo post:

Il personal branding non ha tanto a che fare con i soldi, quanto con noi stessi e con la coerenza con cui agiamo e comunichiamo.

Proprio così: il personal branding è questione di coerenza personale.

Il violento improvvisato, chi cioè non lo è veramente ma lo manifesta in casi simili sfogandosi sui social, farebbe bene a tenere a bada la rabbia ed impiegarla in altro modo. Come? Ad esempio tacendo nel rispetto delle persone offese e tra l’altro mettendo in pratica il primo assioma che ho prima ricordato, oppure comunicando in un modo più costruttivo, non di certo rispondendo all’odio con altrettanto odio.

Quale soddisfazione o quale risultato potrà mai ottenere compiendo quel gesto?

Nessuno: se esistesse una soddisfazione, sarebbe solo illusoria.

Se invece esistesse un risultato, questo sarebbe reale: una pessima immagine.

Questa si paleserebbe anche ai nostri occhi: abbagliati dalla rabbia non ce ne accorgeremmo, ma in verità la dissonanza del messaggio rispetto al nostro vero “io” sarebbe un destabilizzante attacco a noi stessi. A ciò si aggiungerebbe la pessima percezione che gli altri avrebbero di noi!

La vera soddisfazione sarebbe invece, all’opposto, il mettere in pratica la propria vera essenza, comportandosi in modo coerente con ciò che si è.

Morale

Per concludere essere coerenti con noi stessi nel personal branding non è solo parte di una buona strategia di marketing o una regola del corretto “brand positioning”, ma è un valore essenziale che ci consente di essere ben visti, oltre che dagli altri, anche e soprattutto da noi stessi, accrescendo la nostra autostima.

Quando dunque la rabbia ti sale e vorresti mandare al diavolo tutto o tutti e persino vendicarti, pensa a chi sei veramente, e comportati secondo la tua vera indole. Non è solo il tuo personal brand a chiedertelo. Te lo chiede la tua vita.


Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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