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Oggi un amico imprenditore mi chiama e tra il più e il meno mi fa:

“Sai, Leo? Mi piacerebbe molto fare personal branding seguendo i tuoi consigli ma ho un problema che mi spinge a non farlo: SONO BRUTTO”.

La cosa mi ha fatto ridere parecchio perché, a parte che l’amico in questione secondo me non è per niente brutto – fermo restando che la bruttezza come la bellezza è un concetto opinabile – non ho potuto che non rispondergli con il più classico dei “ma perché, mi hai visto?”. 

In realtà non è stata proprio una battuta ma una piccola verità: per molti anni – ahimè di depressione – brutto lo sono stato davvero e so bene cosa si prova a pensarlo di se stessi. No, non è una bella sensazione. Oggi non è che la considerazione che ho del mio aspetto sia cambiata tantissimo, a maggior ragione che non sono più nel fiore degli anni, come si dice. A volte ancora penso di essere bruttarello quasi come quando avevo 18 anni: non ci crederai ma sembravo rachitico per quanto ero magro, con la faccia piena di brufoli e gli occhiali. Lasciamo perdere, va!

Lo scambio mi ha fatto però pensare molto al rapporto tra tre cose importanti di cui non si parla spesso: aspetto fisico, considerazione del proprio aspetto fisico e personal branding. In questo post voglio condividere ciò che ho poi detto al mio amico.

Per fare personal branding essere belli o brutti non conta una mazza!

Già! Per la concezione etica che ho di questa strategia di posizionamento (ma non è solo questo: è una delle cose per cui il personal branding si distingue da attività con cui a volte viene confuso, ad esempio il recruting nel mondo della moda o dello spettacolo!) essere di bell’aspetto è inutile perché non è ciò che rende un soggetto memorabile (e di conseguenza “papabile” per un eventuale contatto lavorativo).

Il personal branding, e secondo me ciò vale (o meglio, dovrebbe valere, anche se purtroppo spesso non è così!) anche in ambito fashion, riguarda più competenza e personalità che bellezza. Attenzione, non ho detto che il look non sia importante, l’importante è però valorizzarlo, cosa che passa anche dalla “capacità autoironica” di rendere gli eventuali difetti estetici “elementi” che contribuiscono a “caratterizzare” il personal brand.

Esempi pratici:

  • Hai il nasone? Parlane nei tuoi contenuti scherzandoci su. Il problema (ma lo è davvero?) come per magia sparirà!
  • Molto basso/a o alto/a, magro/a o grasso/a? Idem con patate.

Insomma “non è bello/a ma è un tipo!” per me, citando Bezos, è la frase che la gente dovrebbe dire quando lascia la stanza.

Perchè sarà proprio quel “tipo” a creare un legame autentico che, si spera (ma ciò dipenderà dalla capacità di essere utili e coinvolgenti), si trasformerà in opportunità di business.

Che ne pensi?

Cosa pensi del fattore bellezza nel personal branding? Se hai un’opinione soprattutto divergente mi piacerebbe molto confrontarla con la mia.

Voglio dire: la bellezza a volte aiuta, certo, ma è così importante, o addirittura “decisiva”, quando ciò che dovrebbe contare davvero sul lavoro, come ho scritto in precedenza, è la capacità di coinvolgere risolvendo problemi?

(foto: Pexels)

Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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