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“Personal branding” e “storytelling” sono ormai sulla bocca di tutti ed ovviamente la mia professione (che batte molto sulla loro divulgazione) ne gode.

Tuttavia c’è ancora un mare di lavoro da fare. Già, perché malgrado l’uso (ed abuso) di quei termini sono poche le persone davvero consapevoli di queste due strategie e cioè che sono “molto più che strategie” ma approcci, metodi, stili di vita, attività dal potenziale immenso in quanto in grado, modellando la comunicazione, di modellare anche noi stessi.

In tal senso l’errore che vedo ancora spesso fare è comunicare con una palese “inconsapevolezza di chi si è veramente”, finendo per raccontarsi in modo finto, falso, non autentico seppur spesso in buona fede.

E questo avviene secondo me quando non c’è una vera conoscenza di sé, quando non ci si è davvero interrogati prima di fare personal branding chi si è davvero.

Chi sei veramente? 

“Chi sei?” è in effetti tra le domande più banali ma per questo bastarde che esistono.

Quando chiediamo a noi stessi chi siamo tendiamo a rispondere con nome e cognome pensando poi a ciò che “facciamo nella vita”, sul lavoro tipicamente la nostra professione. I più volenterosi al massimo aggiungeranno qualche passione o inclinazione. Stop.

Ma “chi siamo” è qualcosa di assai più profondo e complesso, solo che spesso lo ignoriamo.

Mi sono chiesto perché questo tema sia così ignorato, facendo tendere la maggioranza delle persone ad avere un’idea irreale di sé, e solo oggi sono riuscito a darmi una risposta: il motivo (o meglio uno dei possibili motivi) è probabilmente la nostra “paura del dolore”.

Già, perché la verità è che ciò che siamo davvero (ed a parte i cugggini può essere anche bellissimo, hihi risata sardonica!) può essere scoperto solo indagando il nostro passato. 

Solo che quando il passato è fatto di dolore (e spesso purtroppo è così) parlarne anche solo a se stessi significa riviverlo, facendoci provare nuovamente le stesse laceranti emozioni, portandoci ad una brutale rivelazione: che in fondo noi siamo (anche ma per fortuna non solo) il frutto del nostro dolore.

Siamo il nostro dolore

Sono convinto di questo da tempo, una convinzione conseguente alla mia vita personale non sempre gioiosa e che si è rafforzata nell’ultimo anno attraverso gli studi sulla “ricerca del perché” di Sinek.

E di questa cosa ho avuto l’ennesima conferma proprio ieri sera guadando il documentario “Tell me who I am” sull’importanza della conoscenza e condivisione del proprio dolore come fattore cruciale d’identità.

A questo link trovi la sua scheda Netflix.

Se puoi guardalo perché, specie se apprezzi il tema dell’auto coscienza e dell’identità personale ma anche del “personal branding storytelling”, ne vale davvero la pena.

Anche se vorrei (è bellissimo e commovente) farò il bravo e non lo spoilerò.

Ma se lo vedi mi prometti di rifletterci su? E soprattutto: proverai a superare la paura di rimembrare i tuoi ricordi tristi con la consapevolezza che anche quelli ti hanno “definito” e che scrutarli può aiutarti a liberarti dal loro peso emotivo, aiutandoti di fatto a capire chi sei veramente?

Ne parliamo insieme? 

Se ti va di parlarne con me, ma tenendo presente che non sono uno psicologo (e che se i tuoi traumi sono troppo problematici dovresti affidarti a lui) ma mi occupo di comunicazione personale, sappi che a questa pagina puoi scrivermi senza alcun problema.

(foto: Pexels)

Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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