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Chi ce lo fa fare a lavorare tante ore al giorno per una paga insufficiente a vivere dignitosamente, figuriamoci per progettare il futuro?
Chi ce lo fa fare ad accettare di vivere nella precarietà? Solo per sentirci occupati? Solo per la gloria di qualcun altro?
Chi ce lo fa fare ad un “posto fisso” che alcuni vorrebbero ancora dipingere – scazzando alla grande – come “panacea”?
All’inizio ero rimasto incredulo e spiazzato, ma poi contento (se non altro per la sua salute!) nell’apprendere che la storia della giovane bidella che stando ai racconti dei media avrebbe fatto la pendolare in treno tra Napoli e Milano è in realtà una fake news.
Ciò però non toglie che la questione del lavoro precario e del posto fisso “non più come una volta” sia un problema reale.
Eppure, nonostante il nostro Paese possa ormai ritenersi “moderno” sotto molti aspetti, basti pensare alla fibra ottica che negli anni si è diffusa a macchia d’olio, ai treni veloci che, Sud a parte, ci portano ovunque e senza troppe rogne, che nonostante la digitalizzazione stia lentamente ma inesorabilmente entrando nei meccanismi aziendali e della PA, che nonostante ormai viviamo un mondo in cui gli strumenti di lavoro stanno finalmente evolvendosi, la mentalità imperante in Italia (e la viralità con cui le fakenews si diffondono è tra le prove) sia rimasta quella degli anni 80 e 90.
Anni in cui ancora si rincorreva il mito del posto fisso che però, a prescindere dalla lezione che la storia strappalacrime della pendolare Napoli-Milano vorrebbe impartirci, non esiste più.
Certo, non che chi non insegua il “posto fisso” se la passi sempre meglio, eh. Ma c’è un però…
Il però è che se nella vita dobbiamo farci “il mazzo” per pochi soldi, io penso che sia meglio farlo per noi stessi.
Già, penso che quel tempo, quella fatica, quel lavoro iniziale massacrante (che alcuni chiamano “gavetta”) sia più conveniente impiegarlo per mettere su la nostra azienda. Per dare forma alla nostra idea, al nostro sogno.
Per realizzare le nostre ambizioni personali più autentiche, quelle che vadano OLTRE il semplice sostentamento.
Non ho dubbi che anche in Italia esistano realtà per le quali “sacrificarsi da dipendente” valga comunque la pena.
Però prima di decidere se essere autonomi o dipendenti, facciamocela sempre la domanda:
“Chi ce lo fa fare?”
Chi me l’ha fatto fare? Personalmente la mia motivazione è aiutare ed ispirare le persone a realizzarsi nel lavoro e nella vita. Ed è per questo che quasi 21 anni fa – all’inizio guadagnando due noccioline – ho deciso di mettermi in proprio. E tu?
Mi farebbe piacere se provassi a dirmi per quale motivo fai il tuo lavoro.
Se ti va di raccontarmi la tua motivazione profonda (o provarci, dicendomi ciò che credi essa sia) che ti ha spinto ad intraprendere la tua professione puoi raccontarmela qui oppure rispondere per email alla newsletter. Grazie.