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Secondo l’ultima newsletter di Giorgio Taverniti (autorità della SEO italiana che, tra l’altro, tempo fa ho intervistato qui) la testata tecnologica CNET avrebbe attuato una politica di tagli al personale dopo aver deciso di produrre parte dei suoi articoli con la AI generativa.

Per capirci con software tipo ChatGPT-3 in grado di produrre testi complessi difficilmente distinguibili dal linguaggio naturale.

La scelta sembrerebbe avvenuta per perseguire l’obiettivo di posizionare meglio i suoi contenuti su Google lanciando un messaggio del tipo “la AI produce contenuti migliori – anche in termini di SEO – di un umano”.

Un messaggio che Giorgio – secondo me giustamente – ha criticato ricordando che in realtà le guidelines di Google definiscono i “contenuti di valore” come EEAT e cioè all’insegna di:

  • Experience: esperienza.
  • Expertise: competenza.
  • Authority: autorevolezza.
  • Trust: credibilità.

In effetti le EEAT, aggiungo io, sono qualità che si rifanno non tanto al contenuto ma al creator ed alla sua storia.

E non è un caso che la mia approvazione sia stata totale quando nella newsletter ho letto anche questa frase:

La qualità di una pagina si basa sul suo scopo; se in realtà ha uno scopo benefico può puntare ad ottenere la massima qualità raggiungibile, altrimenti se è uno scopo semplice è quasi impossibile. Giorgio Taverniti

E qui mi scappa una riflessione che, come spesso accade, voglio condividere anche sul mio blog e che riporta proprio al mio ambito, quello del “personal brander fan di Simon Sinek”, autore di cui ho parlato spessissimo nel mio blog (ad esempio qui).

La mia riflessione, e secondo me nocciolo della questione, è che la differenza spesso incompresa tra intelligenza umana ed artificiale, e che fa pensare alla AI come ad una minaccia che gli ruberà il lavoro, non è il “cosa fa”, piuttosto il “come lo fa” e soprattutto il “perché lo fa”, lo scopo sociale.

È proprio il “perché” a definire la differenza tra umano e macchina

Ciò che forse tutti noi dovremmo comprendere facendone tesoro è che anche se un’AI può essere programmata per scrivere contenuti secondo uno scopo, non potrà MAI essere uno scopo credibile perché l’AI, non essendo umana – dunque priva di una storia passata e presente che possa “certificare” ciò che si dice – non è credibile.

D’altronde il perché (come tra l’altro sottolineato più volte da Sinek stesso nella sua teoria enunciata in “Start with Why”) non basta avercelo ma occorre sentirlo, provarlo davvero e poi interpretarlo. E non solo a parole, ma nei fatti.

Insomma il punto è che un’AI potrà scrivere ottimi post in grado di mandare a casa tanti scribacchini ma non sarà mai capace di ispirare come chi nella scrittura ci mette il cuore e, con le azioni, dimostra che non sono solo parole.

Concludendo

Tutti noi abbiamo un perché, uno scopo sociale (anche se spesso lo ignoriamo, eppure è lì per essere scoperto, per motivarci e farci lanciare brand che funzionano meglio).

Perché a questo punto non cacciarlo fuori e ficcarlo nei nostri contenuti ed azioni il prima possibile? E non solo per essere più competitivi nel nostro mercato, come brand, ma anche per non rischiare di essere un giorno sostituiti dall’AI?

Anche questa volta ti invito alla discussione.

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(foto: Pexels)

Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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