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Di recente mi sono interessato ad un progetto che stando alle intenzioni vorrebbe operare in un mercato globale in ascesa e competitivo.

Il problema è che chi mi ha chiesto di collaborare non è un imprenditore ma un professionista tra l’altro totalmente a digiuno di marketing, di quelli con un concetto di branding molto impreciso (per la serie “un brand è un logo e poco più”).

Il tizio in questione (presentatomi da un conoscente comune che non frequentavo da tipo 15 anni, dettaglio importante come capirai in seguito) ha ignorato totalmente la straordinaria centralità del branding nelle dinamiche di lancio di una nuova attività partendo – tipico errore – dagli strumenti chiedendomi di dare priorità allo sviluppo del sito piuttosto che del brand.

No brand, no party

Professionalmente sono nato come web designer e web developer ed in più di 20 anni d’attività di siti ne ho realizzati così tanti da aver perso il conto. Ma da quando circa 10 anni fa ho iniziato a propormi come consulente di web marketing ho evitato di lavorare a progetti web senza prima accertarmi che questo avesse un brand, cioè una strategia. E non per sfizio ma perché oggi “partire dal brand” è l’unico approccio che porta risultati.

Ho cercato di spiegare l’errore suggerendo di investire nel brand e solo dopo lanciare un “sito base” da potenziare successivamente reinvestendo i primi guadagni (quelli “studiati” lo chiamano “minimum viable product”, in acronimo MVP).

Non so se l’amico ha afferrato il concetto, “mi farà sapere” (cit)!

Si tratta in ogni caso dell’ennesima esperienza che mi ha riportato alla mente quanto il branding sia incredibile, sia in senso buono che cattivo.

In senso buono in quanto il branding può creare un ottimo ricordo nella mente del pubblico, persino emozionale. E così impattare potentemente sulle relazioni, sulle vendite, sugli affari. Facendo spesso, grazie alle community, risparmiare un botto di soldi in visibilità.

“Il branding è come una firma: unica, indelebile e in grado di distinguerti dalla massa. ChatGPT Dec 15 Version. F

In senso cattivo perché la verità è che ancora, per ignoranza o chissà, non tutti ci credono, molti sono scettici.

D’altronde “credere”, per definizione, consiste nel dare fiducia a qualcosa o qualcuno senza avere certezze di come andrà. Significa “rischiare di sbagliare”, cioè fare l’imprenditore.

Certo, si tratta anche di credere o meno a chi il branding lo vende, tuttavia non credo che il punto sia tanto chi vende ma COSA si vende.

Comprare un sogno non è da tutti

Ed il punto è anche che comprare un sogno non è da tutti, che per “credere nell’incredibile” ci vuole conoscenza, coraggio ed… un pizzico di follia.

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Ho parlato troppo, ora tocca a te: secondo te manca qualche altro “ingrediente” per convincere chi ancora ignora la crucialità del branding? A portarlo a credere nell’importanza strategica, prima di qualsiasi strumento, del branding per trasformarlo da professionista ad imprenditore?

Mi farebbe enorme piacere sapere che ne pensi, specie se sei un mio collega in ascolto. Puoi rispondermi via newsletter o scrivermi qui.

PS: questo era l’ultimo articolo dell’anno. Ci si rilegge i primi di gennaio 2023! Intanto buone feste ed un caloroso saluto a te che mi dedichi il tuo tempo per leggermi.

(foto: Pexels)

Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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