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La parola inglese “gap” (ops, mi beccherò 10 cucchiai di olio di ricino per aver osato pronunciarla?) è proprio attuale.

Google la definisce “scarto o divario” riferendosi a due tipi di gap: quello tecnologico, ovvero lo squilibrio tecnico fra paesi diversamente sviluppati, e quello generazionale, cioè la difficoltà di comunicazione e comprensione tra generazioni diverse.

Viviamo effettivamente in un’epoca di enormi gap, e credo anche in molti altri contesti.

Pensiamo ad esempio al gap economico tra le nazioni sviluppate e non o tra gli stipendi dei CEO delle dotcom importanti e dei loro schiav… ehm… dipendenti. Gap molte volte “fisiologici” perché figli delle naturali differenze individuali che però, quando diventano estreme, sono spesso indice di ingiustizie.

Tutti avvertiamo i nostri personalissimi gap nella vita di tutti i giorni: c’è chi avverte un gap ad esempio nel rapporto col capo, dipendenti o colleghi. Una differenza che può essere legata al RAL (reddito annuo lordo), quindi potenzialmente indice di “diverso trattamento”, ma anche di tipo culturale, sociale, di mindset.

Il gap che mi inquieta di più

Per quel che mi riguarda avverto un gap potente proprio su questo piano: un’enorme e palese differenza tra me e molte persone per come ci adattiamo al nuovo, al mondo che cambia velocemente, al ritmo dell’evoluzione tecnologica.

Personalmente accolgo “il nuovo” ogni giorno, vedo invece che c’è purtroppo chi lo respinge.

Il nuovo per me è il cambiamento, quello spirito tipico della nostra epoca trainato dall’evoluzione tecnologica.

Di cambiamento ne ho parlato tante volte nel mio blog perché, sebbene mi occupi di personal branding, ne è causa ed effetto!

Non si può fare personal branding se non ci si pone nella mentalità del cambiamento (ho personalmente seguito brand che sono falliti perché i loro “titolari” non erano predisposti al cambiamento e brand che hanno avuto successo perché davvero “vissuti davvero” con quella mentalità)!

Tornando al discorso “tecnologia”: è una cosa, meglio ricordarlo, che non si evolve in modo lineare ma esponenziale secondo la legge di Moore: ad esempio l’AI (intelligenza artificiale di cui si parla tanto di questi tempi) si evolve proprio così, definendo il gap “esponenziale” tra uomo e macchina.

Dura starci dietro ma almeno ci provo!

Il problema è che c’è chi non ci prova neanche ma crede di farlo solo perché cambia lo smartphone puntualmente ogni 2 anni. C’è chi crede di essere “evoluto” perché si circonda di hardware e software (che neanche sa davvero usare) ma che di evoluto non ha proprio nulla.

Ma il gap culturale c’entra poco con gli strumenti. Non si tratta di usarne sempre di migliori ma di averne consapevolezza “nel loro insieme”, includendo noi stessi.

Insomma… un gran bel casino per l’Umanità!

Il gap che ti inquieta di più?

E tu che ne pensi dei gap? Qual è il gap più grave che avverti nel vostro lavoro? Con i clienti? Con i partner? Con i fornitori?

Ne parliamo? Puoi farlo sempre sul blog scrivendomi qui in privato o rispondendo alla mia newsletter via mail. O, ancora, commentando pubblicamente la versione Linkedin di questo articolo. Let’s talk!

(Foto: Pexels)

Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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