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Non sapevo molto sul concetto di attrazione nelle coppie finché non ho visto la prima puntata della serie “100 Humans” dal titolo “come essere attraenti”, una produzione Netflix che prova a sfatare attraverso l’evidenza scientifica quello che sembrerebbe un falso mito.

(attenzione, spoiler in arrivo!) 😛

La storia da sfatare sarebbe la credenza diffusa tra le donne secondo cui gli uomini che ballano siano più attraenti degli uomini che non ballano.

In effetti durante la puntata, attraverso alcuni esperimenti sociali, si dimostra che non c’è correlazione tra il numero di spermatozoi nello sperma degli uomini e la loro abilità nella danza.

Tuttavia emerge anche che l’attrazione da parte delle donne verso gli uomini “ballerini” non è affatto una falsa credenza ma esiste davvero.

La storia del pavone

Il documentario spiega il motivo di questa cosa attraverso l’aneddoto del pavone raccontato allegramente dal neuroscienziato Daniel Levitin:

Charles Darwin predisse che le persone capaci di ballare avrebbero mostrato una particolare proprietà riproduttiva.

Ai tempi dei nostri antenati il tempo e la qualità del ballo erano indice di resistenza, forma fisica, indicavano ad un potenziale compagno che avrebbe avuto abbastanza risorse di cibo per stare in salute e che non aveva alcun disturbo neurologico. E tutto questo significava che aveva buoni geni (…).

La coda del pavone è un po’ il termine di paragone: questo arco vistoso e colorato è un magnete per i predatori.

Il pavone va in giro richiamando l’attenzione su se stesso, e così i pavoni hanno un bel numero di predatori. Quello che il pavone comunica alle femmine è: sono bello, sì, ma anche abbastanza forte da riuscire a deridere tutti i predatori e farla franca.

Ecco perché dovreste scegliere me!

Oltre a questa verità, nel documentario vengono svelate sempre con approccio statistico e scientifico altre quattro caratteristiche dell’attrattività suffragate da fatterelli molto interessanti.

Ho deciso crudelmente di spoilerarti anche questi:

Look

Dopo aver analizzato i risultati di uno “incontro al buio” tra soggetti vestiti in uniforme da lavoro ed in abbigliamento civile, dal documentario emerge che l’attrazione da parte sia di donne che di uomini non è condizionata da potenziali partner in divisa.

Tuttavia tra le donne emerge una più bassa preferenza per gli uomini con uniformi indicanti uno stato economico basso (nel documentario gli operatori di call center e gli inservienti di fast food prendono i punteggi più bassi).

Bellezza

In un altro esperimento si chiede ai 100 umani coinvolti di punire alcuni accusati fittizi dando loro “anni di reclusione” (come fossero dei giudici). Il giudizio avviene sulla base delle loro foto segnaletiche e delle storie di reato.

Ebbene emerge che, a parità di gravità del reato, la bellezza condiziona moltissimo il giudizio della “giuria” spingendola a punire con molti meno anni di reclusione i soggetti con lineamenti oggettivamente più belli.

In effetti questo ultimo studio sembra confermare altri tre studi dedicati a quelli che vengono chiamati “Attractiveness Bias in Legal System” compiuti in veri tribunali in USA secondo cui esiste un incremento tra il 119.25%  ed il 204.88% delle pene per le persone che hanno una minore attrattività fisica (fonte).

Simpatia

Similarmente alla bellezza, un esperimento dimostra che anche la simpatia è molto importante in chiave attrazione.

In un esperimento si vedono due attori, un uomo e una donna, fare due discorsi uguali a due pubblici diversi ma omogenei, utilizzando stili narrativi molto diversi.

Ebbene l’uomo grazie ad un discorso divertente risulta più attraente alle donne per il 22%, mentre la donna risulta più attraente per gli uomini per il 20%.

Mediamente significa che ciascuno dei due, con un discorso simpatico, su 100 potenziali partner riesce a farsi piacere a 21 persone in più.

Familiarità

Con un semplice esperimento in cui vengono mostrati a video dei volti si dimostra che la scelta di quello più “attraente” dipende soprattutto dalla “familiarità” ovvero dal fatto che il volto abbia connotati simili a quelli di chi lo osserva.

Se inoltre il volto viene mostrato più volte degli altri questo aumenta ancora di più la possibilità che venga scelto come il più attraente.

Una lezione di personal branding?

Finito di guardare il documentario mi sono chiesto se le conclusioni a cui giunge e che ho elencato poco fa non possano valere anche in ambito professionale, ovvero in chiave “personal branding”, e mi sono dato da solo la risposta: certo che sì!

Infatti è noto che la costruzione della fiducia sia obiettivo del personal branding stesso perché richiama moltissimo la fase di corteggiamento tra due sconosciuti che, dopo un tempo più o meno breve, si innamorano e decidono di mettersi insieme.

Inoltre è noto che le fasi definite nel famoso schema A.I.D.A. ancora utilizzatissimo in ambito business per descrivere la nascita e la crescita della fiducia tra un potenziale cliente ed un brand, siano perfettamente adattabili a qualsiasi rapporto interpersonale: infatti cos’è l’attenzione se non il primo sguardo tra due potenziali innamorati? E l’interesse la fase di corteggiamento? E il desiderio l’amore? Ed infine l’azione un fidanzamento o un matrimonio?

Ovviamente non sto dicendo che il Personal Branding, o il marketing stesso, debbano essere usati per rimorchiare, così come non sto dicendo che gli approcci amorosi siano identici a quelli professionali. Sto semplicemente dicendo che ci sono palesi forti analogie tra i due mondi in quanto si tratta in ambo i casi di “percorsi di costruzione di fiducia”.

D’altronde… qual è il primo stadio della fiducia se non quella che coinvolge l’attrazione?

In più nella scelta di un brand da parte dei clienti da cui acquistare, ci sono anche piccole componenti di tipo personale dipendenti anche da una certa affinità psico-fisica.

Se non fosse chiaro sto parlando della componente istintiva di cui sono fatte le scelte d’acquisto, solo apparentemente condizionate solo dalla ragione ma di fatto spinte da fattori inconsapevoli in buona parte legati alla medesima “attrazione” valida tra due potenziali innamorati.

Cosa ho imparato

Questo documentario mi insegnato davvero molto, è per questo che l’ho qui recensito sia per aiutarmi a fissarne meglio i concetti, sia per condividerli anche con te.

Rivediamo dunque insieme le cinque conclusioni a cui esso giunge rielaborate in ambito professionale. Ecco cinque consigli utili per migliorare il tuo personal branding.

1) Fare personal branding non è pavoneggiarsi

Attenzione a non fraintendere la storia del pavone che mostra orgoglioso la sua coda.

Fare personal branding non ha nulla a che fare col mettersi in mostra ostentando un vanitoso compiacimento di sé. Non è darsi delle arie!

Tuttavia l’atteggiamento opposto di chi si mette in disparte è altrettanto sbagliato. L’esempio dell’uomo che balla va per questo motivo compreso e premiato.

Un conto infatti è l’uomo che si sforza di ballare pur odiando il ballo perché sa che può aiutarlo a rimorchiare, un altro conto chi balla perché ama ballare davvero.

Il pavone da questo punto di vista è discolpato: seguendo il suo istinto non è colpa sua se si pavoneggia facendosi beffe dei rivali. Ma se lo fai tu invece puoi farti davvero del male.

Con ciò ecco il mio consiglio:

Non pavoneggiarti ma, se hai molto da offrire (sei davvero bravo in qualcosa), fatti pure notare. L’importante è che tu lo faccia in modo sobrio e naturale.

In ottica personal branding ciò si traduce in una comunicazione in cui dare valore senza strafare, senza attirare l’attenzione con contenuti o atteggiamenti che non sono nelle tue corde (evitando la magra figura dell’uomo che vuol fare il pavone in discoteca senza saper ballare, e si vede).

2) Curare il look è importante

Tra le conclusioni a cui giunge il documentario c’è anche quella secondo cui le donne tendano ad essere meno attratte dagli uomini che hanno un look che lascia intendere un basso stipendio.

In base alla mia esperienza penso che sia vero, e che nella società e nel business ciò valga anche più in generale, non solo nel rapporto uomo-donna, ma proprio tra tutti gli esseri umani.

Infatti non è difficile comprendere che uno sconosciuto che svolge un lavoro umile potrebbe essere percepito come un soggetto potenzialmente problematico.

Immagina di ricevere insieme in studio o negozio due potenziali clienti: uno con un look da manager ed uno con bermuda e maglietta. Chi dei due ti fa pensare di avere il budget per acquistare i tuoi prodotti o servizi? Non dirmi il secondo perché non ci credo.

Certo, magari penserai che stia dicendo una cavolata perché Mark Zuckerberg, il CEO di Facebook, va in giro in quel modo eppure è miliardario, e ti dico che è verissimo.

Ma ti dico anche che quella è un’eccezione, non la regola.

Pertanto prendi questo discorso con le pinze, d’altronde sono il primo a battermi sempre contro i cliché e gli stereotipi della società, ma non si può non affermare che l’abito faccia il monaco e che un buon personal branding dovrebbe curarlo coerentemente con la professione e l’immagine che si vuol dare.

Non sto dicendo che dovresti andar vestito con abiti firmati, ma quanto meno di evitare ad un appuntamento di presentarti con i primi abiti trovati nell’armadio.

3) La bellezza aiuta, che fare se non ne hai?

La bellezza aiuta sia donne che uomini a fare carriera.

Più in generale il documentario dimostra che se sei oggettivamente bello o bella ti risulterà più facile essere attraente, ovvero letteralmente attrarrai più facilmente le persone del tuo sesso opposto (e, come leggerai nell’ultimo punto, non solo!).

Se godi quindi di una certa oggettiva bellezza, festeggia! Hai un arco a tuo favore da sfruttare. Ma senza pavoneggiarti, ti raccomando (segui il punto uno)!

Se non hai la bellezza dalla tua parte, che fare?

Bè, sinceramente credo che tu possa e debba fare il possibile per valorizzarti comunque. Ci sarà comunque un aspetto fisico di te che non è brutto, no? E allora fatti consigliare da un esperto di bellezza che ti dirà quale acconciatura, quale trucco, quale look adottare per “migliorarti”.

Soprattutto, non pensare che solo le persone belle possano godere di un personal brand efficace!

D’altronde ciò che conta davvero non è la bellezza, ma l’insieme: ciò che voglio dirti è che se sei una persona bella ma senza alcuna soft skill o persino hard skill, della bellezza non te ne farai nulla!

Al contrario se non sei oggettivamente bella ma compensi con il look e dosi extra di competenza e carattere, puoi fare lo stesso boom. Soprattutto se segui bene anche il prossimo punto!

4) La simpatia è un’arma potente

Se gli studi mostrati nel documentario dimostrano che la simpatia aumenta di più di un quinto le chance di attrarre gli altri, vorrà dire che la simpatia è una chiave di successo nel personal branding che definirei fenomenale!

Esiste purtroppo un diffuso pregiudizio sulla simpatia secondo cui si tratti di una virtù innata, ma in realtà non è così. La simpatia si può imparare agendo sia sulla psiche che sulla comunicazione.

Nel primo caso occorre intraprendere un percorso di crescita personale che porti a sviluppare un mindset aperto e positivo.

Nel secondo caso esistono teorie e tecniche che, se applicate, consentono di migliorare l’esposizione sia verbale che scritta rendendola più accessibile e meno noiosa. Tipicamente la simpatia è un “tone of voice”, ovvero uno stile comunicativo. È “dire le cose in modo da farti ascoltare”, è tendenzialmente comunicare in modo semplice, accessibile e… col sorriso.

Diventare simpatici non significa però diventare cabarettisti.

A volte è sufficiente semplicemente evitare di parlare di argomenti negativi sia nella vita offline che sui social, e quando incontriamo qualcuno o, più banalmente, carichiamo una nostra foto sui social, accertarci sempre di guardarlo dritto negli occhi (o in camera) senza dimenticarci mai di sorridere!

A volte piccole azioni come questa fanno tutta la differenza del mondo e ci aiutano a farci percepire esternamente come persone più solari e positive. Non serve strafare!

L’effetto di familiarità, di cui parlerò nel prossimo punto, farà il resto.

5) La chiave di tutto: la “familiarità”

Nell’ultimo esperimento del documentario Netflix si mostra come gran parte dell’attrazione dipenda dalla familiarità, un punto davvero molto, molto importante che vale la pena spiegare meglio.

Per familiarità intendiamo due cose: il fatto che veniamo istintivamente attratti da chi è come noi ed il fatto che veniamo istintivamente attratti da chi vediamo più spesso.

Ciò si traduce nel fatto che non sono il look e la bellezza ciò che migliora davvero il personal brand (anche se personalmente non li trascurerei affatto!), ma la simpatia e soprattutto la familiarità, detto anche “effetto della mera esposizione”.

Riguardo al fatto che siamo attratti da chi è simile a noi, si tratta della legge dell’attrazione derivante dagli studi dello psicologo Donn Byrne.

Secondo Byrne l’attrazione verso una persona è correlata positivamente con la percentuale di atteggiamenti simili associati a quella persona.

Più ci assomigliamo, più ci attraiamo. Donn Byrne

Ed il bello è che questo avviene anche dal momento in cui incrociamo un nuovo viso che percepiamo come familiare prima ancora che esso ci parli.

Robert Zajonc, psicologo polacco scopritore dell’effetto della mera esposizione, invece dimostrò in una serie di esperimenti come ripetute esposizioni ad un certo stimolo fossero in grado di cambiare l’atteggiamento del soggetto verso di esso, in particolare di renderlo più attraente agli occhi dell’osservatore.

L’effetto della legge di attrazione e della familiarità possiamo riscontrarli praticamente ovunque. La loro combinazione è ad esempio ciò che spiega perché certi profili Instagram o certi articoli di Amazon o eBay ci piacciono sempre di più anche senza apparente motivo.

Si tratta d’altronde di una leva psicologica su cui si fonda buona parte della comunicazione pubblicitaria online e offline.

Concludendo

Fare personal branding non riguarda solo “risultare attraenti” anche perché attrarre è solo la prima fase del percorso che i tuoi potenziali clienti fanno prima di consolidare una fiducia che sia in grado prima o poi di convincerli ad agire, tipicamente acquistare.

D’altronde ricorda che il maggiore ruolo nella capacità di attrazione ce l’hanno le parole ed i contenuti che con esse vengono creati per attrarre un pubblico in linea.

Come il caso “Mehrabia” insegna, non si pensi come certi coach ed insegnanti vanno dicendo erroneamente in giro che aspetti come “body language” ed altri aspetti legati al linguaggio non verbale siano decisivi perché è scientificamente dimostrato che i fattori decisivi sono altri.

Tuttavia i concetti ed i fatti espressi in questo articoli meritano comunque un approfondimento tenuto conto che spesso veniamo scelti per la nostra capacità di relazionarci. E questi aspetti non sempre sono interconnessi con i nostri contenuti.

Dopotutto essere attraenti non fa tutto il Personal Brand… ma di certo l’aiuta!


Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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