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Giorni fa ho incontrato un imprenditore locale che mi ha contattato mosso dalla necessità di rilanciare la sua scuola di formazione.

Nell’ottica di aiutare il suo brand a “dare valore” ed allo stesso tempo a differenziarsi dai competitor, ad un certo punto della conversazione gli ho prospettato l’opportunità di utilizzare la leva del personal branding, tipicamente mostrandosi al lavoro – nel suo caso durante l’insegnamento – con dei brevi video formativi da fare girare su internet.

La sua risposta, molto netta, mi è rimasta impressa: “preferisco non svelare pubblicamente il modo in cui lavoro, temo che i miei concorrenti poi possano copiarmi”.

Gli ho fatto notare l’errore di fondo ovvero credere che nascondere contenuti e metodo di lavoro, in questo caso in ambito formativo ma potrebbe valere in qualsiasi ambito, possa non avere effetto sulla comunicazione o addirittura danneggiare l’attività.

In effetti nascondere ciò che il cliente otterrà è un grande errore, al contrario essere trasparenti rivelando apertamente al cliente ciò che otterrà può diventare una leva di comunicazione potentissima.

Una paura ingiustificata

Questa paura, assolutamente ingiustificata, sembra essere diffusa tra le partite iva italiane tant’è che non è affatto la prima volta che l’avverto.

Sembra in effetti che molti facciano business come stessero giocando a poker, un gioco “finito” (cioè che ha un inizio, un decorso ed una fine), quando in realtà andrebbe visto sì come un gioco, ma “infinito” (cioè come qualcosa che non ha mai fine).

Questo è un paragone che nasce dalla lettura, che in questo momento sto completando, dell’ultimo libro di Simon Sinek “The Infinite Game” (qui su Amazon) in cui l’autore spiega che faremmo meglio a non temere troppo i competitor, agendo quasi come non esistessero.

Ma attenzione: a patto di comunicare in un certo modo, ovvero in modo trasparente, diversificato ed “unico”. D’altronde in quanto individui siamo esseri inimitabili e far leva proprio su questo (che poi è proprio la “magia” del personal branding!) non potrà che rendere il nostro “svelare le carte” non solo innocuo ma persino efficace perché – agendo sulle emozioni e sulla condivisione di valori comuni – ci farà preferire sul piano inconscio da chi è più in linea con noi.

Insomma perché vedere il business come una partita a poker, gioco in cui è persino legalizzato il bluff?

Proprio come Sinek, anch’io vedo il business come un gioco infinito in cui non esistono vincitori e vinti ed in cui ogni cliente ha il fornitore che si merita e viceversa.

Io credo che il business dovrebbe essere un “luogo” dove tutto scorre secondo un flusso naturale ma, attenzione, dove una strategia differenziante, come quel personal branding in grado di raccontare l’unicità umana, può fare la differenza.

Che ne pensi?

E tu, come pensi al mondo del business? Lo vedi come un mondo pieno di concorrenti agguerriti pronti a fregarti i clienti e dove il prezzo la fa nettamente da padrone al punto da mettere in secondo piano qualsiasi valore comunicato e percepito oppure dove grazie ad un forte e focalizzato personal branding puoi permetterti di “lavorare per vivere e non vivere per lavorare”?

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(foto: Pexels)

Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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