(Tempo di lettura 3 minuti)

Il modo più noto per posizionare un personal brand (se non sai cos’è il posizionamento meglio tu legga questo) consiste nel rispondere in modo focalizzato alla domanda “cosa fai?” il cui senso è “qual è il tuo lavoro?”.

Ad esempio il mio “cosa fai?” (o semplicemente il mio “cosa”) è il “consulente e formatore di personal branding”.

Per capirci se ad esempio tu fossi un medico, potresti (anzi, dovresti!) indicarti come “gastroenterologo” o “cardiologo” piuttosto che come medico.

Può sembrare controintuitivo perché il medico ha un bacino di utenti ben maggiore, ma chi ha bisogno di un medico generico “usa la mutua” mentre chi ha bisogno di uno specialista va su Google perché disposto a spendere dei soldi pur di risolvere un problema.

Esempio banalissimo, lo so, ma è sempre il modo migliore per spiegare quanto sarebbe preferibile evitare come la peste la “tuttologia” di un titolo troppo generico.

Posizionarsi con il “come”

Posizionarsi grazie al focus che abbiamo visto prima non è però l’unico modo.

Esiste un altro modo, accessorio al primo, per posizionarsi che consiste nel comunicare il “come” ovvero spiegando come si svolge l’attività.

In questo modo non solo si dice “cosa si fa” ma si prova anche a differenziarsi dai competitor, cancellando o limitando la possibilità di farsi imbrigliare nella famigerata “guerra del prezzo”, quella condizione che si verifica quando, agli occhi dei clienti, le possibilità appaiono tutte uguali, facendo ricadere la scelta proprio sul vantaggio economico.

Riprendendo l’esempio del medico specialista, di dermatologi (per dire) ce ne sono diversi. Ecco perché interviene il come: per differenziare il personal branding in presenza di specialisti uguali tra loro.

Per ottemperare a questo obiettivo il “come” può abbracciare molte cose ovviamente ma di solito viene usato per dare una risposta alla domanda razionale “in cosa sei davvero il top?”. Oppure “grazie a quale tecnica, metodo, condizioni, servizio ecc… sei diverso dagli altri?”.

Comunicare il “come” è effettivamente un ingrediente fondamentale di un buon personal branding perché consente di distinguersi, di elevarsi, di rendersi unici.

E quindi tendenzialmente preferibili.

Le criticità di un “come razionale”

Tuttavia attenzione: è opinione assai diffusa che per farsi scegliere basti comunicare un “come razionale” (giocandosi la carta dell’eccellenza) ma in realtà non è così.

Già, perché molti studi di neuromarketing affermano che solo una piccola parte del pubblico sceglie per motivi razionali, rendendo il posizionamento “solo razionale” poco efficace. Infatti devi sapere che moltissime ricerche di mercato basate su questionari con domande razionali hanno decretato il successo di prodotti o servizi solo sulla carta: una volta lanciati hanno fallito nelle vendite proprio perché il pubblico sceglie per motivi non razionali cioè emotivi ed inconsapevoli.

Come fare quindi personal brand positioning efficacemente?

La risposta risiede, come avrai intuito dal mio titolo scherzoso (che, facci caso, in parte lo ingloba perché racconta di me e del mio voler rendermi utile ma anche divertente), nello scopo.

Sì, lo so che ultimamente finisco col parlare sempre più spesso di scopo, ma è perché è davvero importante. Ed in futuro lo diventerà sempre di più.

L’importanza di partire dallo scopo

Lo scopo è la risposta alla terza e forse più importante domanda che il pubblico si fa inconsciamente quando si imbatte in un brand, prodotto o servizio: “perché esiste?”.

Lo scopo risponde a “perché dovrei davvero acquistare?”, “perché dovrei fidarmi?”.

Come disse Donalde Calne, neuroscienziato famoso per la scoperta del morbo di Parkinson, infatti:

Le persone confermano le scelte guidate dalla ragione ma le lore prime scelte sono guidate dalle emozioni.

Ciò significa che lanciare un personal brand partendo dal perché è proprio fondamentale.

No, non andrebbe considerato un optional del fare brand positioning ma il punto di partenza e, a confermare la teoria del cerchio d’oro di Simon Sinek, centrale.

Occorre quindi scoprirlo (cosa per come funziona il nostro cervello non semplice ma comunque possibile, a proposito posso aiutarti a trovarlo) per poi dargli la forma di “scopo”.

In questo modo è possibile definire e comunicare un “come” che sia in grado di rispondere non solo alla domanda razionale ma soprattutto a quella inconscia e latente.

Quella domanda di cui quasi nessuno di noi ha coscienza quando sceglie qualcosa o qualcuno, ma che è cruciale.

In breve

In breve c’è chi fa personal branding raccontando il proprio focus, e ciò è un bene. Tuttavia raccontare il cosa, anche in presenza di un come razionale, non basta se manca l’ingrediente magico: c’è chi dice questo ingrediente si chiami “eccellenza”, chi “scopo”.

Io (dico) scopo. E tu?

(Foto: Pexels)

Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
Che ne pensi del mio articolo? La tua comunicazione aziendale o personale ha bisogno di una mano? CONTATTAMI ORA! :)