(Tempo di lettura 4 minuti)

Oggi ho sistemato un po’ il mio profilo Linkedin, un social che apprezzo ed uso sempre più per le funzionalità mirate a chi come me fa e divulga personal branding rivolgendosi ad un target mirato e soprattutto per la community che, nel tempo, post dopo post, commento dopo commento, sono riuscito a crearmi.

Se a proposito anche tu sei su Linkedin qui il mio profilo. Seguimi e chiedimi pure il collegamento se non l’hai già fatto: è assai probabile, e lo spero, che rimarremo connessi.

Dopo aver alleggerito la mia bio ho deciso di inserire il breve testo che Linkedin mostra nel colore grigio e tra parentesi accanto al nome, sia nel profilo, sia nei feed.

Te ne mostro qui un esempio:

(scorcio del profilo Linkedin dell’amica counselor Giordana Mastrosanti; ho sottolineato in rosso il testo a cui mi riferisco)

 

Si tratta di uno spazio di appena 25 caratteri che Linkedin consente di usare per “i pronomi di genere” ovvero per indicare il modo in cui si desidera che le persone si rivolgano.

Ci sono infatti persone che per scelta personale e “motivi di genere” (tendenzialmente Lgbt+, ma non solo) inseriscono “She/Her”, “He/His”, “They/Them”, ecc…

Tuttavia, stando a ciò che si vede girando per Linkedin, sembra che questo campo non venga usato solo a questo scopo ma anche per veicolare messaggi diversi, soprattutto promozionali.

Ad esempio l’amico e collega Danilo Spanu lo usa per “abbiamo un brief” mentre l’esperto Linkedin Fabio Banzato “diamoci del tu”.

Ma gli esempi di un uso originale di questo “spazio” si sprecano! Basta farsi un giro su Linkedin per vederne di ogni forma.

Tipicamente sono usati per comunicare brevi citazioni, promesse, mission o ciò che si vuole con l’obiettivo generale di attirare l’attenzione o veicolare messaggi ironici o anche piccole CTA di sostanza, ma in ogni caso sempre in ottica “personal branding”.

Ho deciso di usarlo anch’io

Personalmente, decidendo anch’io di non farne un uso “standard” ma originale, ho pensato all’inizio di metterci il mio claim “The Brand Maker”, salvo poi prima di cliccare “salva” ripensarci dicendo a me stesso:

Che palle Leo, chi vuoi non lo sappia che ti occupi di branding? Lo hai scritto nell’headline ed il tuo logo è ovunque.

Così dopo un breve brainstorming ho deciso di inserire la cosa, secondo me, meno logica – e per certi versi controintuitiva – si possa mettere in un profilo Linkedin. La più classica e meno empatiche delle frasi.

Il “famigerato”:

Lei non sa chi sono io

Sì, proprio quella frase capace di ammazzare sul nascere qualsiasi empatìa peggio di un’alitata dopo un’abbuffata di trippa calabrese.

(scorcio del mio profilo Linkedin dopo l’aggiunta sottolineata in rosso)

 

Perché l’ho fatto?

Per tre motivi che, al di là dell’indubbia autoreferenzialità di questo articolo, penso e spero possano insegnare comunque qualcosa.

1) Provocando attira l’attenzione

O, almeno, spero che lo faccia.

Con questa frase uso l’ironia, elemento a cui tengo molto e che fa parte del mio “tone of voice” che, tuttavia, nell’header non uso.

Ovviamente spero non venga fraintesa, ma credo che le persone con cui desidero interagire – e nella versione Linkedin di questo articolo ho avuto diverse rassicurazioni in tal senso – non la fraintenderanno.

2) È un incipit

A chi mi chiederà “lumi” potrò raccontare che molti anni fa la mia autostima era così a terra che mi beccai una specie di Dunning Kruger: in pratica avevo una visione distorta di me stesso al punto da pensare, solo perché avevo studiato quattro minchiate di marketing e comunicazione, di saper tutto, di essere “arrivato”, di poter dire senza vergogna quel “lei non sa chi sono io” a chiunque solo “sospettasse” un mio errore.

Sto un po’ estremizzando forse ma serve a dirti che purtroppo, per vicissitudini d’infanzia e gioventù che non mi va di raccontare, per anni la mia autostima è stata scarsa, che non sono sempre stato equilibrato ma che da questo disagio ne sono uscito.

Insomma spero con questa frase di creare le premesse per lanciare anche un messaggio di crescita personale che parta dall’autocoscienza.

Vorrei che questo fosse anche un messaggio autoironico che nasconda un invito ben preciso:

Cerchiamo di scherzare dei nostri problemi e difetti perché l’autoironia può essere un ottimo modo per metterli a fuoco e superarli.

D’altronde nascondere la polvere sotto il tappeto non è mai una buona scelta.

Ed è per questo che ho scelto da qualche tempo di raccontarmi più in profondità, per continuare a migliorarmi ma soprattutto, attraverso la mia esperienza, per continuare a aiutare te a crescere ed aiutarti – chissà – a trovare anche il tuo perché (di questo ne parlo qui).

3) È realistica

Perché in effetti chi si imbatte per la prima volta in me non sa affatto chi sono, quindi tecnicamente non è una falsità ma la verità che però dovrebbe, si spera ma lo saprò più avanti, innescare una curiosità del tipo “aspetta, vediamo chi diavolo è questo qui!”.

Questa spiegazione è banalotta, lo so, ma mi fa arrivare al 3, il numero maggggico del marketing!

Che ne pensi?

Ricapitolando ti ho parlato prima di questo campo speciale che se lo ritieni utile puoi usare secondo il suo scopo inclusivo, diversamente per lanciare il tuo piccolo ma originale messaggio.

E poi ti ho parlato della mia scelta di usarlo per veicolare il mio carattere e stile ironico.

Ora tocca a te: se usi Linkedin (ma se sei qui a leggere è probabile che sia così) che ne pensi della mia scelta?

E, soprattutto, che scriverai in quel campo se non l’hai ancora fatto?

Mi farebbe tanto piacere saperlo con un messaggio che puoi inviarmi da qui o rispondendo direttamente alla mia newsletter.

(foto: Pexels)

Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
Che ne pensi del mio articolo? La tua comunicazione aziendale o personale ha bisogno di una mano? CONTATTAMI ORA! :)