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Oggi riprendo a scrivere dopo un po’ di giorni ed ammetto di sentirmi un po’ in imbarazzo.

Sì, perché la mia lunga assenza dal blog credo avrà fatto pensare qualcuno un po’ male. Scommetto che questo qualcuno avrà pensato:

“Ma come Leo? Proprio tu, che divulghi i principi della buona comunicazione personale, che lasci intendere che si debba postare di continuo e senza interruzioni, ti prendi un periodo sabbatico? Dove sta la coerenza? Dove sta la credibilità?“

Mi rincuora che diversi mi abbiano contattato privatamente chiedendomi dove fossi finito, cosa stessi facendo, e soprattutto come stessi (in effetti il motivo della mia assenza è stato proprio qualche problemino di salute, per fortuna in buona parte rientrato)… ma ciò non toglie che qualcuno avrà percepito (più o meno consapevolmente) un elemento di debolezza da parte del mio personal brand.

Questo perché nel pensiero comune, in effetti, ogni personal brand deve essere sempre presente, sempre sul pezzo, sempre pronto a sparare cambi di stato (no, l’espatrio non c’entra… c’entrano solo Facebook, Linkedin & co. ed il loro pulsante “pubblica“).

Ma è veramente così? I personal brand, o più in generale chi usa i social per comunicare con il proprio pubblico, devono per forza creare e pubblicare contenuto con assoluta costanza?

È una bella domanda a cui di solito qualsiasi social media manager o consulente di web marketing risponderebbe con un netto e deciso “sì, devi farlo per forza!“.

In effetti è importante farlo per un semplice motivo: il nurturing.

 

Cos’è il nurturing?

No, non è il nome di un circuito di motociclismo in Germania, ma una pratica fondamentale per chi fa marketing, specie da qualche anno a questa parte: consiste nel “nutrire“, come farebbe un passerotto con i propri piccoli, il proprio pubblico di continui contenuti con lo scopo di mantenerne “viva“ la relazione.

Questo in termini sempliciotti. In termini markettari gli obiettivi del nurturing sono invece i seguenti:

  • Riconoscibilità: serve a far conoscere il tuo personal brand sfruttando i social più adatti alla propria strategia (Facebook, Instagram, Linkedin, ecc…).
  • Considerazione: serve a fare in modo, attraverso il “valore“ e la focalizzazione (focus) dei contenuti contribuire al posizionamento del tuo personal brand, che questo venga percepito come autorevole.
  • Vendita: serve a mirare, man mano che il pubblico viene mantenuto “caldo“, all’azione attraverso specifici pulsanti o link di contatto o di vendita.
  • Post-vendita: serve ad accrescere la soddisfazione dei clienti (ed aumentare le vendite) attraverso contenuti mirati.

Il nurturing è quindi un processo, un’attività che non ha (o meglio che non dovrebbe mai avere) fine o concedersi pause, in quanto connessa con quella cosa che viene molte volte trascurata ma che è altrettanto importante e che è la raccolta dei dati (feedback) e l’ascolto del proprio pubblico, con lo scopo di ottimizzarlo, migliorando quindi i contenuti in termini qualitativi (il “cosa“ pubblicare) e quantitativi (il “come“ e il “quanto“ pubblicare).

Allora a questo punto penserai che costringere il mio pubblico a circa 2 settimane di digiuno sia stato un errore, perché il pubblico ha comunque fame, e se in questo periodo non è stato “nutrito“ da me, sarà andato a nutrirsi da altri (leggasi dai concorrenti).

Sì, in effetti, formalmente, è stato un errore, e non ho nessun problema ad ammetterlo. Ma nessuno è perfetto. Io non sono un super-consulente o super-guru sempre sul pezzo, di quelli che hanno migliaia e migliaia di fan, e malgrado l’esperienza ventennale, sono un essere umano e dunque non immune da imperfezioni.

Tuttavia non voglio che questo articolo, per quello che sto per dirti, ti suoni come una forzata difesa, come un tentativo di giustificarmi, piuttosto mi piacerebbe che cogliessi e “facessi tuo“ il senso del fatto che fare marketing (per me, così come per te) non dovrebbe essere inteso neanche troppo sul serio, in modo eccessivamente rigido. 

Ciò che voglio dirti è che probabilmente smettere di pubblicare per un po’ (e quindi interrompere il nurturing) è formalmente un errore, ma paradossalmente in alcuni casi può essere persino un vantaggio. E ti spiego il perché.

Il ruolo “umano“ del marketing moderno

I libri di marketing, e di conseguenza i maggiori esperti di marketing che, aimé, spesso ne ripetono i concetti a pappagallo, ci dicono che in un processo di marketing ci sono cose imprescindibili da fare, insomma delle attività che sono dei veri e propri “obblighi“.

Tra i tanti obblighi ci dicono di fare nurturing, pubblicando costantemente e non interrompendo mai il flusso di informazioni verso l’esterno.

Ribadisco: penso che, generalmente, abbiano ragione. Ma che ciò non debba per forza valere sempre e comunque, ed in tutti i casi.

Il punto è che seguire le leggi del marketing non è la ricetta magica per la salute della tua azienda… anche se senza dubbio è la ricetta più importante che tu devi seguire, intendiamoci!

Tuttavia, facendo un parallelismo con la medicina, così come questa non è una scienza esatta in quanto ogni individuo non è diverso dall’altro (e quindi non è detto che un farmaco possa curare in modo infallibile tutti i pazienti), allo stesso modo il marketing non può garantirti che una prassi (come appunto quella del fare nurturing sempre e a tutti i costi) possa curare tutte le aziende.

Penso che appoggiare questo concetto, che probabilmente non è condiviso dalla maggior parte dei marketer (specie i più incalliti accademici, quelli del “tanta teoria ma poca pratica“), oltre ad essere un elemento differenziante del mio personal brand (e quindi se da un lato indebolisce la mia awareness nella percezione di una parte del pubblico, dall’altra parte la rinforza nei confronti di chi invece condivide l’idea di un marketing non esasperato, ma naturale), possa essere invece un elemento differenziante ed utile anche del tuo personal brand.

Pertanto cerca di creare e pubblicare i tuoi contenuti in modo costante, ma se non riesci o non puoi, fai come me: non sentirti troppo in colpa e non fartene un cruccio!

Anche perché se miri, come me, ad un pubblico di qualità, che apprezza il valore del rapporto umano, non ci sarà interruzione del nurturing che tenga (ma senza esagerare) se avrai costruito una community magari non numerosissima, ma solida.

Sai qual è il punto centrale di tutta questa storia? Che se nei tuoi contenuti, anche se incostanti, trasmetti valori ed emozioni, le persone non ti dimenticheranno neanche dopo tanto tempo. 

La morale è sempre la stessa: prima di essere marketer, sii umano. Per dirti che oggi esistono decine di strumenti che consentono di pubblicare in automatico e giornalmente post ed articoli a raffica mentre tu non puoi farlo o non ne hai voglia, così come c’è una marea di esperti che ti dicono che devi fare automation, perché è fico, perché devi, perché lo fanno tutti (senza considerare magari neanche il tipo di pubblico a cui ti rivolgi).

La marketing automation è in effetti una cosa bellissima, ma che andrebbe usata, se punti ad un pubblico di qualità, con estrema moderazione. Ecco perché il vero errore per chi fa personal brand non è mettere in pausa il nurturing, ma esagerare nell’automatizzazione dei processi.

Come scrive la poetessa statunitense Maya Angeleu, ricorda:

“Le persone dimenticano le informazioni che gli dai, ma non dimenticano mai come le hai fatte sentire“

Fai in modo che sia questa la prima (e forse unica) regola di marketing da seguire alla lettera, e nessuna interruzione del tuo nurturing potrà scalfire il tuo personal brand.


Leo Cascio

Leo Cascio

Sono brand builder, creator, consulente, formatore e divulgatore di web marketing. Autore del libro "Personal Branding sui Social" (link Amazon).
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