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Di recente ho visto un video con Al Ries, famoso pubblicitario co-autore con Jack Trout del celebre “Positioning: the Battle for your Mind”. Se non hai letto questa autentica “pietra miliare” del marketing lo trovi su Amazon qui.
Premessa per i babbani (ed Harry Potter muto!)
Questo libro enuncia un approccio al marketing che fa leva sull’unicità del brand rispetto ai concorrenti.
Spiega che per avere un posizionamento forte (e quindi vendere) il brand deve focalizzarsi su un elemento/beneficio distintivo e comunicarlo chiaramente mantenendo coerenza nel tempo per consolidare la sua posizione. Per capirci spiega il “brand positioning”, quella strategia (di cui ho parlato ampiamente sul mio blog) usata oggi con successo da un botto di aziende.
La stessa che agendo sulla mente quando pensiamo ad un condom o ad una squadra di palla a nuoto ci fa pensare in settordici microsecondi al Settebello.
Fine premessa.
Puoi vedere il video da cui prendo spunto qui: https://www.youtube.com/watch?v=r8wi8vzz61w
Ciò che mi ha colpito è quando Ries ad un certo punto del suo speech dice “pro pro… prova” a no… dice (dai, faccio il serio):
Ecco, ho trovato questa frase una provocazione ma, attenzione, non fine a se stessa. Infatti non credo che il marketing andrebbe rinominato minding. Credo che il marketing sia il marketing, cosa che è e rimane una branca dell’economia.
Però credo che l’accostamento sia utile per farci comprendere che mai quanto oggi non dovremmo più vedere al marketing solo come “numeri e dati”, cioè cose “misurabili”, elementi che ci porterebbero a maturare un’opinione, come ad esempio su una campagna come quella turistica lanciata di recente dal Ministero del Turismo e che ha attirato una marea di critiche, ne ho parlato qui, solo se ne disponiamo.
Infatti Ries ci ricorda che il marketing è fatto anche di percezioni, emozioni, associazioni, sentimenti: cose in gran parte non misurabili.
E non solo per chi segue alla lettera queste teorie che a volte – diGiamolo! – sono controverse se pensiamo all’effetto manipolatorio che il brand positioning può avere, ma proprio per chi fa “human marketing”.
Già, ci ricorda che il marketing impatta anche la psiche umana individuale e la società nel suo complesso forgiando opinioni (come quelle di chi ha criticato – pur non disponendo di dati a supporto – la campagna suddetta) che non sono affatto sottovalutabili.
Ci ricorda che il marketing oggi plasma la mente.
E mi fa pensare che anche se non andrebbe chiamato minding la sua identità vi si avvicina comunque molto.
Che ne pensi?
E tu? Lo chiameresti “minding” come fatto da “buonanima” mister Ries (a proposito se n’è andato nel 2022 a 92 anni)? O continueresti a chiamarlo, almeno ufficialmente, “marketing”?
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